Un discrimine chiamato mattone

Proprio dinanzi al Cimitero, a destra sulla direttrice per Olmedo, fino a pochi mesi fa, si mostrava un uliveto secolare: a occhio e croce una cinquantina di alberi, tenuti bene e trattati con i guanti, stavano a significare che, fino al momento in cui Alghero usciva dalle sue mura, gli ulivi dominavano incontrastati il paesaggio nel quale lei stessa era incastonata. Quegli ulivi sono stati abbattuti per far posto, così si dice, alla costruzione di un Centro Commerciale: e fin qui nulla di illegale, almeno formalmente, visto che la legge vecchia di 60 anni, permetteva, (e purtroppo permette ancora), che gli ulivi possano essere abbattuti, per far posto alla fame di case, che tutta
l’Italia uscita dalla guerra, mostrava come uno dei segni di crescita economica inarrestabile, il cui simbolismo è così ben descritto da ‘Il ragazzo della via Gluck’ di Celentano. Un tributo della campagna alla Milano che si espandeva in termini di prati, e nel nostro piccolo in termini di ulivi secolari, retaggio di una cultura lasciata in eredità diverse generazioni fa e incrementata nel corso di questi ultimi 150 anni. Se di quel piccolo uliveto estirpato in nome di uno dei segni più deteriori del nostro tempo quale è il Centro Commerciale, non rimarrà traccia né nelle nostre coscienze e né nei nostri occhi, la macchia bianca rappresentata da quel quartiere sorto proprio come un fungo sul pianoro di Monte Carru, sicuramente sarà fagocitata dalle nostre coscienze aduse a giustificare tutto, ma rimarrà sempre come una macchia per chi guarderà il paesaggio dalle colline soprastanti, (con la speranza che mai più vengano alla luce altre ‘Monte Carru’).

Ho citato questi due esempi perché il PUC perpetrato dalla Giunta Tedde, dimentico di due dati essenziali, (il primo: Alghero ha finito il suo ciclo espansivo in termini di abitanti e se ne prevede addirittura una decrescita; il secondo: a fronte di una stabilizzazione del numero degli abitanti, si rendiconta un numero di abitazioni doppio rispetto alle esigenze della popolazione residente, con quantitativi preoccupanti di vani nuovi invenduti), rivolgeva le sue attenzioni urbanistiche all’esterno della cinta urbana, ponendo le basi sia per un aumento indiscriminato dell’invenduto e dell’inabitato, sia per una occupazione altrettanto indiscriminata del territorio circostante, violentandone definitivamente la valenza paesaggistica; le intenzioni di quel PUC peraltro dimenticavano completamente il Centro già costruito ed abitato, forse perché è troppo faticoso pensare e ragionare su interventi riqualificativi di una realtà troppo spesso mortificata fino ad un punto di non ritorno; era invece molto più semplice lucrare vantaggi politici e personali impostando un semplice Piano di fabbricazione mascherato da PUC, a vantaggio di chi aveva fatto incetta delle aree oggetto dello stesso piano di fabbricazione.

Il problema è che l’attività edile ha rappresentato e rappresenta ancora una parte importante della economia cittadina, e pensare un PUC diverso che contrasti con quel Piano di fabbricazione, il cui unico obiettivo consisteva nel costruire senza porsi il problema della destinazione di quanto costruito, e dell’impatto che quanto costruito avrebbe imposto all’ambiente ed al paesaggio, significa porsi contro una economia già disastrata per se stessa. Se ad Alghero parli di PUC non con chicchessia, ma con i Sindacati, con le Organizzazioni di categoria, con i Partiti, e cerchi di impostare il tuo discorso sulla necessità che si ripensi il futuro della Città in termini diversi dal cammino compiuto in questi ultimi cinquant’anni, il tuo interlocutore ti darà ragione perché tutti hanno gli occhi per vedere, ma nel contempo ti proporrà immediatamente : vai a fare questi discorsi ad un addetto all’edilizia, dall’Imprenditore che rischia del suo, passando per il rivenditore di materiali edili, sino ad arrivare all’ultimo manovale che sulla giornata campa una famiglia! E’ questo un discorso sacrosanto se vediamo le cose con la logica del presente o dell’attimo immediatamente successivo, ma se proviamo a pensare al luogo nel quale abitiamo non come ‘nostro’, ma ad un valore che ci viene dato in affidamento perché lo conserviamo e lo miglioriamo per chi verrà dopo di noi, allora vedremo che diventa urgente ribaltare le motivazioni di partenza di quel PUC, e pensare a qualcosa di veramente nuovo.

Fare Politica (ma anche Sindacato, organizzazione di categoria), non significa assecondare solo i bisogni della Gente: ritengo che la crisi attuale dei Partiti, dei Sindacati, e di chiunque assolva ad una funzione di rappresentanza di interessi particolari e generali, stia proprio nell’aver rinunciato ad impostare con i propri rappresentati un confronto serio sui doveri e sulla consapevolezza del posto di ognuno nella Società. Ma questo è un discorso da affrontare specificamente in altra occasione.

Oggi, alla Politica Algherese, ai Movimenti e ai Partiti si chiede lo sforzo squisitamente culturale, di fare ogni sforzo possibile per superare la distonia evidente di un settore (quello edile), che opera sostanzialmente contro la propria proiezione futura: non si può costruire aumentando ancor di più la percentuale di invenduto; non si può costruire a danno di un Territorio la cui valenza è un valore aggiunto alla realtà Mare-Coste (sempre ammesso che riusciamo a superare lo scoglio Calich-Cuga); non si possono costruire altri posti-letto senza prima aver risolto il nodo della stagionalità a favore di quelli già esistenti.

19 Febbraio 2013