“Governo M5s-Pd, è tornata la politica”

L'opinione di Mario Salis, segretario Partito Democratico Alghero

Dopo aver incassato la fiducia dei due rami del Parlamento, il nuovo governo si trova adesso davanti alla prova più ardua: quella dei fatti. Le istituzioni repubblicane e le forze democratiche, di fronte a una crisi paradossale avviata dall’ex ministro dell’Interno al solo scopo di capitalizzare, chiedendo “pieni poteri”, un consenso alimentato a base di demagogia e odio, hanno dimostrato di saper anteporre l’interesse del Paese alle pur legittime ambizioni di parte. Ma per far sì che il governo appena nato riesca a realizzare il suo programma in campo sociale, economico e ambientale, i partiti che lo sostengono saranno chiamati a fare un ulteriore passo in avanti, un passo che, oltre a rivitalizzare la cultura democratica del sistema Italia, faccia avvicinare tra loro i nuovi alleati, superando le residue diffidenze reciproche. Un passo l’uno verso l’altro che dev’essere compiuto da ciascuno, per provare sul serio a conoscersi e collaborare a lungo termine nell’interesse di tutti. Anche degli elettori che questa nuova coalizione non la voterebbero mai.

Questo processo, chiamato compromesso quando il termine non aveva ancora l’accezione negativa che tendiamo a dargli oggi, è il fondamento di qualsiasi azione politica autenticamente
democratica. Il M5s-Pd-Leu sono adesso al governo insieme e insieme avranno la responsabilità di fare le scelte giuste. E se davvero i provvedimenti dell’esecutivo, come promesso da Conte, non nasceranno con un marchio dell’una o dell’altra componente della maggioranza, ma se saranno invece capaci di dare l’idea di un’azione compatta, collaborativa ed efficace, allora potremo festeggiare il ritorno della politica come autentico strumento di cooperazione e trasformazione sociale. Il problema è che sul governo giallo-rosso gravano aspettative talmente alte che potrebbero far apparire “minori” provvedimenti e politiche che, invece, nel lungo periodo, potrebbero produrre un impatto significativo sul nostro tessuto economico e sociale. In altre parole, chi ha in mente solo la grandezza dell’albero potrebbe sottovalutare l’importanza di un piccolo seme. Il presidente del Consiglio, che nel suo discorso alle camere ha sottolineato la volontà di avviare una stagione politica radicalmente diversa dalla precedente, sta chiarendo qual è il primo seme che dovrà essere piantato: quello culturale. Del resto, come ha ribadito Dario Franceschini alla Camera, d’ora in poi “si chiude la stagione della cattiveria e dell’odio”. E sarebbe un errore sottovalutare il potere rigenerativo, sia sul piano sociale sia sul piano economico, di un pieno ritorno ai valori sociali e umani che animano la nostra Costituzione.

Naturalmente, cambiare toni e narrazione non può essere sufficiente. L’azione politica dovrà non solo essere incisiva, ma incisiva a lungo termine. Un dispositivo sul salario minimo sarebbe ottimo, specie se accompagnato a una severa lotta al lavoro nero e allo sfruttamento. I diritti dei lavoratori devono tornare di moda. Ma per contrastare la cultura del sommerso senza indurre un calo dell’occupazione reale bisogna tagliare drasticamente le tasse sul lavoro, intervenendo sul cuneo fiscale. Le risorse destinate all’illusoria flat-tax potrebbero essere dirottate lì. Anche il contrasto al caporalato e allo sfruttamento degli immigrati, nonostante lo sciovinismo salviniano del “prima gli italiani”, si tradurrebbe, a lungo termine, in un vantaggio per tutti, perché
eliminerebbe quella “concorrenza sleale” generata dalla guerra tra poveri. Allo stesso modo, in campo economico, l’avvio di una politica fortemente orientata al green, al netto delle considerazioni ecologiste, consentirebbe all’Italia di emanciparsi dal carbone, dal gas e dall’acquisto di energia elettrica dall’estero (dove viene prodotta con centrali nucleari),
generando una sensibile diminuzione del costo dell’energia, a favore di privati e aziende. Fatto che si tradurrebbe in maggiori risparmi per i primi e in un aumento di competitività per le
seconde. Potremmo andare avanti a lungo con esempi e suggerimenti, ma il punto è che la vera sfida che ci attende verterà sulla capacità che governo e parlamento avranno di mantenere una visione d’insieme che traguardi gli anni a venire.

I primi segnali, a gioco ancora fermo, sono incoraggianti. È bastato inviare un messaggio di serietà ai partner europei, dimostrando che il nostro Paese ha in sé gli anticorpi istituzionali e costituzionali per disinnescare populismo e intolleranza, per vederci subito riassegnata la credibilità che come Nazione meritiamo. Con Gentiloni, avremo un commissario europeo di peso (affari economici) e sarebbe un errore non notare quanto il Capo dello Stato si sia sbilanciato – perché non è da lui – proponendo all’Unione Europea che alcuni vincoli vengano ridiscussi per favorire maggiori investimenti e sviluppo. E non è detto , con il morso della crisi che inizia a stringersi anche attorno alla possente economia tedesca, che questa proposta non possa finalmente essere adottata. Se il nuovo governo sarà, nei fatti, capace di confermare questa riacquistata credibilità internazionale, se i suoi provvedimenti terranno conto del disagio che serpeggia sempre più tra gli strati più deboli della popolazione, se si prenderà cura degli ultimi e degli emarginati con politiche di reale sostegno, promozione e inclusione sociale, se manterrà le promesse sulla rivoluzione verde in economia, se investirà sulla scuola, sull’università e sulla ricerca, se terrà in conto i diritti dei lavoratori, dipendenti e autonomi, se rilancerà la sanità pubblica, se saprà gestire le sfide delle migrazioni di massa con serietà, fermezza ma anche con l’umanità, la cultura dell’accoglienza e il rispetto dei diritti degni di un Paese civile, allora ne sarà valsa davvero la pena e, come partito, come politici, come amministratori della cosa pubblica e – perdonatemi l’enfasi forse un pochino eccessiva – come esseri umani, avremo fatto né più né meno che il nostro dovere.

Mario Salis, 11 Settembre 2019