Continua il tavolo di crisi sul latte sardo con il Ministro Centinaio

Le parole di Gianni Fabbris, uno dei delegati al tavolo di confronto come dirigente nazionale di LiberiAgricoltori e Altragricoltura

I pastori sardi tornano in Sardegna più arrabbiati di prima dopo l’incontro che per sei ore si è svolto al Viminale alla presenza del Ministro all’Agricoltura Centinaio e al Ministro degli Interni, Salvini. Oggi, sabato 16 febbraio presso la Prefettura di Cagliari, continua il tavolo di crisi sul latte sardo. Gianni Fabbris, dirigente nazionale di LiberiAgricoltori e una delegazione di pastori incontreranno il Ministro.

Di seguito riportiamo l’intervista rilasciata da Fabbris a Radio per la Terra all’indomani dell’incontro tenutosi al Viminale alla presenza del Ministro degli Interni, Matteo Salvini, e del Ministro all’Agricoltura Centinaio.

Quali prospettive si aprono adesso? Lo stato dell’arte. Dell’incontro di ieri interessano due cose: il primo dato è che non c’è nessun politicismo che può reggere di fronte alla crisi del mondo delle campagne che è una crisi profonda di sistema, strutturale e che parla delle difficoltà della ricerca delle nostre filiere; è una crisi che racconta un abbandono completo di qualsiasi strategia che abbia un senso sulla produzione primaria. L’Italia è diventata in realtà in questi anni una grande piattaforma commerciale con una vocazione fortemente speculativa. Il lavoro della terra per secoli è stata l’ossatura fondamentale del rapporto con il territorio e la produzione del cibo è diventata sempre più marginale e persino inutile rispetto a tutta una serie di dinamiche. E’ in questa crisi di modello che si determina una prima grande contraddizione che è svelata dalla mobilitazione, dal sacrificio dell’impegno dei pastori in Sardegna. C’è un mercato in cui i prezzi si determinano nel rapporto fra domanda e offerta e poi ci sono i costi di produzione; sono due terreni che sembrano assolutamente non incontrarsi ovvero, la determinazione dei prezzi del latte, come del grano, dell’ortofrutta e così via, avviene secondo logiche che non tengono in alcuna considerazione quali sono i fattori del lavoro, i costi della produzione, gli investimenti necessari a poter produrre quel bene in maniera adeguata. E’ questa una prima follia del nostro modello che è ancora la manifestazione, il sintomo che allontana i processi economici, finanziari e speculativi nella determinazione dei prezzi dell’agroalimentare dai problemi veri di come si mantiene la nostra agricoltura e pastorizia di allevamento produttiva sul territorio. Quindi non è una condizione di colori o approcci politici, non bastano le promesse, serve un cambio profondo di rotta. Del resto se ai pastori il latte viene pagato 0.60 cent di € a fronte di costi produttivi certificati da Ismea e altri istituti di ricerca che certificano come i costi produttivi sono € 1,02 ci sarà un problema, ci saranno ragioni che determinano questo gap spaventoso tra quanto viene pagato e quanto i pastori producono. Tutto questo si traduce in impoverimento, in abbandono delle campagne. Non bastano le promesse politiche per cambiare le questioni.

Il secondo dato è che serve una capacità delle istituzioni di dare risposte al problema e la mobilitazione dei pastori sardi ha messo in evidenza questa necessità non solo l’ha segnalata, l’ha evocata e l’ha ottenuta. Ritengo finalmente un fatto positivo l’essere riusciti a comporre un Tavolo come quello di ieri; finalmente il Governo nazionale e la Regione Sardegna si sono messi a lavoro insieme a tutte le parti sociali come Assolatte, gli industriali, le cooperative, i pastori, le organizzazioni professionali intorno al tema “come affrontare la questione della crisi di prezzo ai pastori ed è significativo che questo sia avvenuto al Ministero degli Interni; un elemento questo che rappresenta una conquista della lotta che ha ottenuto il Tavolo perchè ha posto un problema di ordine pubblico e sarà sempre più così nel prossimo periodo perché poiché da una parte la società civile fa finta di non vedere i problemi e la politica gira la testa dall’altra parte, le lotte degli agricoltori, dei pastori, nel prossimo periodo saranno sempre più capaci di conquistare tavoli a partire da un dato che è quello di dire basta.

Un quadro che deve ancora svilupparsi in tutte le sue componenti. Quindi bene il Tavolo, bene l’impegno delle Istituzioni soprattutto dal punto di vista di cosa fare in prima emergenza intervenendo sul mercato, nel rapporto domanda – offerta e non sul versante delle proposte strutturali poiché si interviene sui costi di produzione. Ieri, infatti, sono stati messi sul tavolo fino a 49 mln di € per ritirare dal mercato tutta una serie di prodotti trasformati per determinare la possibilità che il prezzo risalga; è un dato importante per quanto io lo confino semplicemente nello spazio delle misure d’emergenza non strutturali e quindi un dato importante. Non si è chiusa tuttavia la trattativa perché il ritiro di ca. 70 mila quintali di formaggi dal mercato con questa misura che significherebbe poi destinarlo ad altro, tipo operazioni di solidarietà interni all’Italia ma anche esterni e che potrebbe portare, conti alla mano, alla risalita del prezzo a oltre 1 € alla stalla, perché queste operazioni non si fanno con la politica degli annunci ma costruendo per tempo gli accordi, e soprattutto far sì che questa misura non serva solo a far fare un po’ di cassa ai commercianti e agli industriali che evidentemente si vedono comprare a un prezzo garantito e sicuro il loro prodotto ma questo si deve trasformare automaticamente nel fatto che il latte da 0,60 centesimi arrivi a 1 euro. I pastori ieri hanno ottenuto la linea, la proposta, suportata dalle organizzazioni (tutte presenti) secondo la quale è stato offerto agli industriali la possibilità di dare 0.85 centesimi di acconto in attesa di capire se nei prossimi due mesi il prezzo risalirà e quindi arrivare a dare il saldo fino a 1 €. Gli industriali non hanno detto no ma sono stati disposti a dare un acconto di soli 0.70 centesimi. E’ chiaro che non è solamente una questione di soldi ma strutturale, importante, vedremo come va nelle prossime ore, una cosa certa i pastori tengono così come è certo che il movimento è chiamato a fare un salto. Ieri al Tavolo con il ministro c’era una grande difficoltà, il Movimento era fatto da tanta gente di grande voglia, combattiva ma c’era un deficit di rappresentanza e di organizzazione. In Sardegna il movimento è storicamente riunito intorno al MPS che finora li ha tenuti insieme. Questa mobilitazione pone un problema di superamento di quelle forme ma anche di formazione dei tanti giovani pastori che stanno animando questa protesta; è una fase che richiede velocemente di passare da una mobilitazione spontanea a una forma più organizzata.

Prossime iniziative. Io sarò in Sardegna da domani mattina per i prossimi tre giorni per lavorare con loro e soprattutto martedì mattina saremo in Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati, insieme ai pastori sarò in audizione e il 21 ci sarà un tavolo di filiera al Ministero per ragionare sulle riforme strutturali e su come riorganizzare la produzione.

Questo esempio potrebbe essere seguito anche da altre categorie. Quello che sta accadendo sul latte sta avvenendo dappertutto; è l’intera produzione agricola che perde valore. Negli ultimi 20 anni c’è stato un furto di valore aggiunto prodotto dal lavoro delle campagne: 25 anni fa per ogni unità monetaria di valore aggiunto prodotto negli scambi agroalimentari, 1/3 remunerava il lavoro degli agricoltori, 1/3 la trasformazione, la logistica e i servizi e 1/3 la commercializzazione. Oggi siamo a oltre 2/3 in mano alla commercializzazione e meno di 1/3 che si dividono tutti gli altri, è ovvio cosa avvenuto: un furto di lavoro aggiunto sulle spalle del lavoro. Tutto questo è insostenibile. Abbiamo quindi, la necessità di porre la questione generale della modifica del nostro sistema agroalimentare, di regole certe che ci garantiscano dalla speculazione ma abbiamo anche il dovere di ripensare l’impresa, l’economia, il modello. Siamo nel 2019 dobbiamo guardare al futuro e dobbiamo guardare all’idea che abbia ancora un senso lavorare la terra perché produce economia positiva. Le prossime vertenze dovranno saper tenere insieme la riforma dal punto di vista degli strumenti istituzionali ma anche la capacità di riorganizzare le filiere, la produzione, le imprese. Ci stiamo attrezzando per capire, a partire dall’esperienza della Sardegna, come gli altri territori dell’Italia rurale si coinvolgono in una grande fase nuova della mobilitazione.

16 Febbraio 2019