Caino, Abele, il cattivo occidente ed il terzo mondo

L'opinione di Vittorio Guillot

Da troppo tempo si sentono le martellanti cantilene di chi sostiene che le responsabilità del degrado e della miseria del Terzo Mondo e, in particolare, dell’Africa, ricadano solo ed esclusivamente sulle spalle dell’uomo bianco e dei suoi tirapiedi di altro colore. Non voglio certo sminuire quelle responsabilità. L’uomo bianco, infatti, si è certamente macchiato di gravissimi genocidi in Africa, nelle Americhe, in Australia ed ha anche ferocemente praticato lo schiavismo e l’egoistico sfruttamento delle risorse naturali delle colonie. Con la guerra dell’oppio nell’ 800, ha addirittura imposto alla Cina la libertà di vendita di quella droga. Nego, però, che Caino avesse solo la pelle bianca. Lo schiavismo ‘bianco’, ad esempio, fu reso possibile dal fatto che le tribù africane, oltre a scannarsi tra loro, razziavano i loro nemici, pure africani, li cedevano ai mercanti arabi e questi, a loro volta, li rivendevano ai negrieri ‘bianchi’. Così pure va ricordato che i popoli ‘colonizzati’ praticavano abbondantemente anche i sacrifici umani ed il cannibalismo. Pratiche che cessarono proprio per effetto della colonizzazione europea. La stessa schiavitù, ad un certo punto della storia, fu abolita proprio dagli ‘occidentali’. Oggi, purtroppo, è ancora in vigore in alcuni stati musulmani che la giustificano, assieme alla inferiorità della donna, perché è prevista dal Corano. Caino, quindi, aveva anche la pelle nera, rossa e grigia mentre Abele aveva anche un colorito bianco. Aggiungo che non è mica vero che gli europei abbiano fondato il loro progresso sullo sfruttamento dei popoli del resto del mondo.

Piuttosto è vero il contrario e, cioè, che quello sfruttamento, che aumentò senza dubbio la potenza, l’arroganza e la ricchezza dell’uomo bianco, fu reso possibile proprio dal progresso scientifico e tecnologico generato dalla cultura europea. Fu quella cultura, infatti, che, fin dai tempi della antica Grecia e malgrado molte e gravi ‘defaillances’, in tutti i campi, da quello filosofico a quello scientifico, favorì la libera ricerca e le scoperte che la seguirono. Non fu certo per un caso fortuito se le scoperte di Archimede ed Euclide, di Galileo, Newton ed Einstein avvennero nell’ambito della cultura occidentale e non in quelle australiane od africane. Con ciò non voglio affatto dire che quelle culture siano, in assoluto, ‘inferiori’ a quella europea, dato che il valore di ogni cultura si deve misurare in base all’aiuto che offre a certe fette dell’umanità a vivere nel modo migliore nel proprio ambiente. Personalmente ritengo addirittura utili ed affascinanti certi aspetti delle culture asiatiche e di quelle così dette primitive. Semplicemente constato che la cultura occidentale, più di altre, ha favorito quello sviluppo tecnologico e scientifico che, da un lato, ha consentito agli europei di imporre il loro colonialismo ma, dall’altro, ha migliorato le condizioni di vita generali. Non può sfuggire, in proposito, che alla scienza ‘occidentale’ è dovuta anche la lotta contro terribili malattie, combattuta con risultati positivi anche per il Terzo Mondo, tanto che alcune di esse, come il vaiolo, sono addirittura scomparse.

E’ vero che lo sfruttamento del capitalismo occidentale sul Terzo Mondo e, in particolare, sui Paesi africani, è continuato anche dopo l’ottenimento della loro indipendenza perché non hanno potuto o saputo sviluppare le tecnologie necessarie per trasformare ‘in proprio’ le loro ricchezze naturali. E’ pure vero che questa condizione di inferiorità deriva in larga misura anche dalle guerre tribali ed intestine che quei popoli non hanno mai esitato a scatenare reciprocamente, con tutte le distruzioni, le stragi e le spese in armamenti che li hanno ulteriormente impoveriti mentre hanno ancor più ingrassato i mercanti di armi. Noi europei, invece, dopo guerre devastanti, abbiamo saputo sviluppare una collaborazione reciproca che ci ha dato 70 anni di pace, di progresso e di benessere che, spero, sia perfezionata e non distrutta dalla stupidità umana. A parte questa preliminare precisazione, tesa non a giustificare i delitti dell’uomo bianco ma, più semplicemente, a smentire il falso manicheismo ‘terzomondista’, non nego affatto che il capitalismo abbia rapinato i popoli più deboli. Affermo, anzi, che, spingendo ed agevolando le immigrazioni incontrollate dai Paesi ipocritamente definiti ‘in via di sviluppo ’, quelle lobby cerchino di farla da padrone e di inflazionare il ‘mercato del lavoro ’ e, così, abbattere le conquiste sociali che i lavoratori ‘occidentali’ hanno acquisito in oltre un secolo di lotte. In tal modo non solo non si risolverebbero i problemi del Terzo

Mondo ma essi verrebbero estesi a nord del Mediterraneo, a cominciare dall’Italia. Ciò, ovviamente, a tutto vantaggio dei pescecani e dei piragna del capitalismo piccolo e grande. Comunque, anche considerato l’incalzare delle migrazioni, credo che sia giunto il momento che l’Occidente e, per quanto ci riguarda più da vicino, l’Italia, agisca concretamente per aiutare i Paesi poveri a eliminare le sacche di miseria che li affliggono. Certo è necessario anche l’aiuto militare che, come nel caso del Niger, gli occidentali già offrono non solo per proteggere i loro interessi ma anche per impedire che quel Paese e le sue ricchezze finiscano nelle mani dei terroristi di Boko Aram, dell’Isis, di Al Kaeda e dei fratelli musulmani, che già vi scorrazzano e compiono i loro massacri. Però l’assalto che il capitalismo internazionale sta attuando da tempo nel terzo Mondo e che vuole estendere all’Europa, anche attraverso l’immigrazione fuori controllo, deve essere fermato impegnando per lo sviluppo dei Paesi più poveri le indispensabili risorse culturali, scientifiche, tecnologiche, economiche e finanziarie. E’ chiaro che un solo Paese, nel nostro caso l’Italia, non può farsi carico del progresso di interi continenti.

Comunque, secondo certi studi del Ministero degli Esteri, l’Italia può impegnarsi fin da ora in quelle Terre con cui ha già consistenti rapporti. Mi riferisco, in particolare, al Kenya, alla Costa d’Avorio, al Niger, alla Nigeria, all’Eritrea, all’Etiopia, al Mozambico. Credo che il nostro Paese debba impegnarsi, magari chiedendo l’appoggio dell’O.N.U., perché gli aiuti non passino attraverso i loro governi, spesso corrotti. Siano, piuttosto, amministrati da organismi controllati da noi e dall’O.N.U. ed operino perché gli interventi pianificati arrivino effettivamente alle popolazioni. Quegli studi assicurano che l’Italia dispone già da ora dei fondi per quegli interventi. Intanto, poiché è stata sensibilmente ridotta la scriteriata ondata di arrivi incontrollati dall’Africa, favorita dalle ONG, si dispone di 500 milioni di euro annui, precedentemente sprecati per una indecente accoglienza che alimentava troppi speculatori nostrani. Si può destinare alla cooperazione anche lo 0,30 % del nostro P.I.L.. Queste sono cifre di tutto rispetto e, aggiunge quello studio, sarebbero un investimento positivo anche per noi perché impegnerebbe nostre imprese, inoltre, aumentando il benessere dei popoli più poveri, consentirebbe loro di acquistare i nostri prodotti. Si aggiunga che si possono coinvolgere le ‘nostre’ aziende private in iniziative che, pur garantendo i loro legittimi interessi, le impegnino nei processi di formazione e di crescita di quelle popolazioni e, di conseguenza, nella lavorazione ‘in proprio’ di buona parte delle loro risorse. Sarebbe positivo, a mio avviso, che nel dibattito che si sta ponendo sulla nuova Europa, l’Italia avanzasse anche la questione degli aiuti che la U.E. dovrebbe offrire al Terzo Mondo, considerando quei Paesi, con tutta la dovuta prudenza, non degli antagonisti ma dei soggetti con cui si può costruire un futuro migliore.

Vittorio Guillot, 21 Novembre 2018