“Apriamo il cantiere dell’Alternativa”

L'opinione di Paolo Maninchedda, Partito dei Sardi

Non si può vivere sommersi dal disgusto per l’egemonia della mediocrità e delle piccole logiche dei potenti di quartiere divenuti potenti di sistema. Oggi non è il giorno delle bugie; è la giornata delle ‘gambe corte’, cioè dell’evidenza delle bugie. Le raccontiamo. Ma dopo vorremmo dire due parole di conforto, per evitare che l’amarezza (nel vedere la Sardegna guidata da persone palesemente inadeguate, impegnate quotidianamente e sistematicamente a rovinarla) prenda il sopravvento e ci conduca all’assuefazione del male. Quindi, prima parte dedicata al dolore, seconda al piacere. Prima parte Ieri, Vito Biolchini, in tempo reale ha sconfessato un anno di bugie sulla dorsale del gas. Bugie esplicite, sempre ben evidenziate dal governo italiano che ha sempre detto di essere per l’elettrodotto siculo. Non le ripeto, ma potete recuperare qui ciò che dissi tempo fa e che posso confermare oggi con ulteriori documenti. Ho sempre detto che la Giunta non aveva e non ha, perché non ha le energie culturali per averla, una visione per l’uscita dal carbone.

Oggi riesce a dirlo anche chi (leggete L’Unione), qualche settimana fa, diceva che invece la strategia c’era. Noi abbiamo sempre detto, prima, durante e dopo le elezioni, che il problema da porsi era la tariffa dei sardi prima dell’infrastruttura della Sardegna, cioè abbiamo sempre detto che l’energia è un problema di poteri e di diritti non risolvibile con una visione mondana e superficiale della politica, o peggio, con una derivazione industrialista arretrata maturata nei lab Saras. Noi abbiamo sempre fatto rilevare che c’era un dilettantismo imbarazzante nella gestione della materia energetica, che l’Arera (l’ente delle tariffe dell’energia, del gas, dell’acqua ecc.) non è un luogo di propaganda, ma una serissima istituzione di regolazione dove occorre recarsi avendo ben studiato prima e dove una banale cultura della questua autonomistica o anche una solida competenza industriale non reggono. Inascoltati.

Ma i giornali sardi no; loro sono andati dietro alla propaganda della Giunta. Prime pagine, interviste piene zeppe di bugie quasi ridicole. E nel frattempo le vendite dei quotidiani sono andate giù, sempre più giù, e c’è oggi anche chi cerca acquirenti come gli sfortunati cercano elemosine. Ma chi può comprare organi d’informazione ridotti a megafoni del falso o dell’invidia sociale? Non parliamo poi della crisi di trasparenza, di legalità, di tutela, di efficacia della Giunta (in agricoltura, nei prossimi giorni, ci dedicheremo al commento di una delibera spettacolare, indicativa dello stato confusionale autoritario che viene distribuito a giumelle nell’assessorato). L’arte del governo, a differenza di ciò che pensano molti, non si imparava nelle logge, neanche in quelle miste (donne e uomini, oggi di moda). Nelle logge, nell’Ottocento, si imparava a fare la rivoluzione. Oggi si impara a fare molto casino pensando di essere qualcuno e non vedendo, sotto i cappucci, la tigna dell’incapacità. Poi ci sono le fumisterie propagandistiche. Continuerò a non parlare della ‘insularità’, che non mi convince, per riguardo ad alcune persone che vi sono coinvolte e che stimo. Però, voglio dire ai Riformatori che non si può fare la scuola di politica con Giorgetti e stare in una Giunta che ha smontato i referendum proposti e sostenuti anni fa dai Riformatori su Province e Enti regionali e votati dai Sardi. Non si può indicare l’orizzonte dell’insularità e stare in una Giunta che, dopo mesi di balle, ammette che la prima proposta di Continuità territoriale (che, a vedere le carte, è più la solita idea della tariffa unica che un vero progetto di continuità territoriale, per di più con i numeri non tutti a posto) è stata trasmessa il 17 gennaio 2020, cioè ieri, dopo un anno di chiacchiere e petto in fuori. Non si può essere stati, come furono i Riformatori, a favore della Asl unica (su questo tema si incrinarono profondamente i rapporti tra me e Pigliaru e i fatti mi hanno dato ragione: bene i conti, pessimamente i servizi) e votare la moltiplicazione dei pani e dei pesci della riforma sanitaria proposta, che risolve qualche problema di collocazione di manager, ma non cambia nulla nel disastro dei servizi.

Non si può essere stati più che prudenti sul Mater Olbia e ora concorrere a regalare tetti di spesa per 156 milioni di euro all’anno. Insomma, va bene che vi sia chi parla di insularità, ma il problema sta diventando l’incoerenza esplicita, ostentata, dei compagni di viaggio. Seconda parte La campagna elettorale ha lasciato più di una rovina. Bisogna capire se coprire le macerie con uno strato di terra o rimuoverle. Sono per la seconda opzione. Essa richiede dunque che non ci nascondiamo che il Pd ha scelto di far guidare la maggioranza uscente da un accordo tutto cagliaritano, tutto di vertice (non si fecero primarie) e fortemente equivoco sul piano programmatico (su sanità, trasporti, tutela ambientale e urbanistica era un programma più che centrista). Il calcolo era sfondare al centro in area urbana. In più, venne riesumato un autonomismo di antico regime con l’obiettivo di devitalizzare l’indipendentismo di governo, pacifista, legalitario, democratico, che negli anni aveva costruito una piattaforma di governo più avanzata di quella da decenni derivata dalla mitizzata Rinascita.

Il risultato è noto. Il Pd è ancora su queste posizioni? Intende proseguire nell’imbarazzante (per loro) vuoto politico che dura da mesi? Impossibile rispondere. Tuttavia, vi è una via d’uscita. Sebbene Zingaretti trionfalmente sia andato in tv a dire che dopo il voto in Emilia si è tornati al bipolarismo e che senza Pd non vi è alternativa alla destra italiana, risulta chiaro a tutti che il Pd non è autosufficiente, soprattutto al Sud (vedi la Calabria) e nelle Isole, dove esso è identificato con lo Stato e con i suoi tradimenti. Se dunque è vero che il Pd è indispensabile per costruire un’alternativa, è altrettanto vero che non è sufficiente. C’è dell’altro da dover mettere su. L’alternativa Questo ‘altro’ è molto variegato: ci sono gli eredi della sinistra non comunista e gli eredi della sinistra comunista comunista; ci sono i socialisti non inglobati; ci sono i movimentisti (le sardine, che non si sa cosa siano, ma esistono); ci sono i renziani; ci sono i post-democristiani; ci sono gli autonomisti e ci sono gli indipendentisti democratici e gli indipendentisti che vogliono stare da soli. Al netto di questi ultimi, che hanno una loro strategia di cui sono soddisfatti, il primo problema è mettere insieme il resto. A me pare che l’unico primo passo possibile sia mettersi a lavorare insieme per fare l’opposizione, ognuno con le proprie idee.

Servirebbe, insomma, mettere su un ambiente che lavori sul controllo e sul contrasto al governo regionale in carica da punti di vista diversi, unito però nel volere costruire un’alternativa. L’impegno e il lavoro per fare bene l’opposizione potrebbe generare comprensioni reciproche che attualmente sembrano impossibili. Intanto si farebbe un grande servizio al proprio Paese, che è la Sardegna, e si creerebbe un ambiente dove chi ambisce a fare il Presidente potrebbe formarsi, in modo da non doverci bere, anche la prossima volta, un Presidente che non capisce nulla di Stato e di Regione, con un’infarinatura precaria dei problemi, ma abilissimo nel vincere la competizione per rappresentare la posizione che la regola dell’alternanza privilegerà. Questa è dunque la mia idea: apriamo il cantiere dell’Alternativa, dove non si formano partiti ma si lavora, ognuno con la propria identià, a fare bene l’opposizione. Cerchiamo di capirci, di coordinarci e poi si vedrà. È un progetto semplice semplice che non chiede niente di eroico a nessuno se non impegno, coordinamento, confronto e efficacia nella costruzione di una proposta diversa. E poi col Pd che cosa accadrà? Difficile dirlo, tuttavia mi pare chiaro che il Pd dovrebbe da oggi dire tre semplici cose: 1) la leadership verrà scelta con ampia consultazione popolare (come? Lo si decida in modo chiaro e per tempo); 2) il confronto tra autonomismo, federalismo e indipendentismo va avviato molto prima delle prossime elezioni regionali e deve avere la profondità dei confronti politico- culturali seri; 3) le decisioni su tutto ciò che riguarda la Sardegna vengono prese in Sardegna. Non è molto, ma sarebbe già qualcosa.

Paolo Maninchedda, 4 Febbraio 2020