Punta Giglio, il Comitato: “Parco non può abdicare ai suoi doveri”

Dopo la nota di chiarimenti del Parco, arriva la nota del Comitato costituitosi da poco

“Ringraziamo il Parco per l’excursus storico riguardo all’impegno, pur tra mille difficoltà, per la tutela del suo territorio, impegno che nessuno hai mai negato e che spesso abbiamo plaudito. Descrivere i propri meriti, sia pur legittimo e istruttivo, ci sembra, però, un’opera di giustificazione della sconfitta: ci abbiamo provato, per qualche ragione è andata male. Era scritto nel grande libro del destino o in altri libri sacri”. Così il Comitato per Punta Giglio in risposta alla nota dell’Ente Parco sul progetto di recupero dell’ex batteria.

“Il Parco, però, dimentica che non fu l’unica voce del territorio a prendere una posizione: nell’agosto 2018 alcune associazioni ambientaliste e storiche inviarono alle istituzioni una nota dettagliata con le ragioni della propria opposizione alla concessione della batteria. Ragioni che, ora più che mai, dovrebbero indurre a rivedere in maniera critica tutto l’iter approvativo. Furono inviati comunicati stampa e due esponenti politici locali, in una conferenza stampa, espressero forti critiche all’amministrazione comunale. Amministrazione comunale che, nella persona del Sindaco firmatario del Protocollo d’intesa con l’Agenzia del Demanio della Sardegna, si impegnava ad “individuare ulteriori ed eventuali immobili di proprietà da candidare nel portafoglio immobiliare di riferimento da sottoporre alla preventiva valutazione dell’Agenzia ai fini del loro inserimento nel progetto”. Come a dire: svendiamo altri edifici/aree di pregio. Spiace dirlo, ma in questo frangente il Parco, che dal 20 settembre 2017 sedeva al Tavolo Tecnico Operativo, non si spese ad appoggiare l’azione delle associazioni”.

“Il Parco non si espresse, preferendo (citiamo dal documento da Voi reso disponibile) “una linea di condotta di diretta interlocuzione con la cooperativa vincitrice per fare in modo che la stessa ridefinisse in modo sostanziale i contenuti della proposta originaria per renderla compatibile con l’area naturale protetta e con i diversi vincoli di natura edilizia e paesaggistica, nonché con la esigenza del pieno rispetto della storia, della salvaguardia della memoria e della identità dei luoghi” Forse folgorato sulla via di Damasco, o per altra ignota ragione, la sua dirigenza ritenne che fosse già una vittoria costringere la cooperativa aggiudicatrice a rinunciare ai 70 letti con piscina e, in seconda battuta ai bungalow immersi nel verde a favore di miseri 20 letti e una vaschetta; visto comunque che “verba volant sed scripta manent” nelle carte ufficiali è scritto chiaramente che è stata la Soprintendenza a bocciare l’iniziale progetto, progetto che, per la Commissione del Demanio statale, inspiegabilmente, è risultato idoneo e congruo”.

“Anche questa è una strategia legittima, per carità, altri avrebbero forse agito diversamente ed in maniera più educatamente aggressiva, o avrebbero rassegnato le proprie dimissioni, ma secondo noi è stato solo un cercare di limitare i danni. Poi, senza pubblicità con una contrattazione diretta, si arrivò al progetto definitivo di cui, per grazia ricevuta, le organizzazioni ambientaliste e cittadini, vennero a conoscenza nel dicembre 2020. Esiste un numero di letti e dimensioni di piscina al di sotto del quale gli interventi di completo rimaneggiamento delle strutture ad uso alberghiero non costituiscono antropizzazione h24, come è di moda dire ora? L’aver presentato, in prima battuta, progetti incompatibili non solo con l’ambiente e la storia, ma anche col buon senso, la dice lunga sull’anima ecologista della cooperativa: anche ad un semplice amante della natura non sarebbe passato neppure per l’anticamera del cervello”.

“Ma è di moda il Greenwashing, l’ecologismo di facciata che, grazie anche a operazioni di marketing accattivanti, fanno opera di persuasione dei cittadini. Ci sia permesso scetticismo sulle “occasioni di impresa e occupazione”: troppe volte le aspettative sono state disattese. Spiace che il Parco ci sia cascato o abbia dovuto accettare il progetto obtorto collo. Ora però il Parco non può più abdicare ai suoi doveri e deve far rispettare la norma, essa stessa inserita nel documento di rilascio dell’autorizzazione all’intervento che prescrive: ”si richiede che tutte le attività di cantiere, sia per gli interventi sui manufatti, sia per le sistemazioni esterne, che si attuano a meno di 100 metri dal margine di falesia, siano interrotte nel periodo compreso fra il 15 marzo e il 30 settembre dell’anno solare. Ed anche a far rispettare le leggi n 177 del 1° ottobre 2012 e n 81 del 9 aprile 2008 che obbliga la valutazione del rischio di rinvenimento di ordigni bellici nei cantieri interessati da scavi” concludono dal Comitato.

19 Marzo 2021