Sardegna in passato: terra immune dalla malaria

Sorprendenti risultati di uno studio storico-paleoimmunologico condotto dal Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Sassari, dal Dipartimento di Scienze della Salute Pubblica e Pediatriche dell’Università di Torino e della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa: in età nuragica la Sardegna era immune dalla malaria. La presenza di quell’antico flagello è invece accertata per l’età cartaginese. Inoltre, è stata verificata la presenza di un’altra malattia: la leishmaniosi umana (un’antropo-zoonosi), nella forma viscerale, da mettere verosimilmente in relazione con il ravvicinato contatto degli allevatori-cacciatori raccoglitori con i cani, reservoirs dell’infezione.

Lo studio “Approccio paleobiologico alla storia della malaria e della leishmaniosi in Sardegna dall’età Prenuragica al Medioevo” è stato condotto da un gruppo di ricerca su materiali osteoarcheologici forniti dalle Soprintendenze alle antichità di Cagliari e di Sassari, con fondi della Fondazione del Banco di Sardegna. Sulla base di una cartografia della malaria (collegata ai dati paleoclimatici) predisposta dalla professoressa Eugenia Tognotti, storica della Medicina (Università di Sassari), il team scientifico – composto da paleopatologi (Gino Fornaciari e Valentina Giuffra, Università di Pisa), paleoimmunologi (Raffaella Bianucci, Università di Torino), paleoantropologi (Lino Bandiera, Università di Sassari) – ha impostato il lavoro che si è avvalso della possibilità di effettuare screening di ampia portata sulle collezioni osteoarcheologiche, capaci di fornire, in questa prima fase della ricerca, una risposta di tipo qualitativo (ovvero presenza/assenza del patogeno). Nel caso della malaria, l’utilizzo di questi test, la cui sensibilità e specificità su materiale antico è già stata confermata in studi precedenti, permette di identificare le proteine delle diverse specie del genere Plasmodium (falciparum,vivax, ovale, malariae). Le indagini paleo immunologiche sono state effettuate su campioni di siti di varie aree geografiche, corrispondenti a diverse epoche storiche e datati con il metodo del radiocarbonio: età nuragica; età fenicia ; età romana; prima età moderna.

Non sono stati identificati casi di malaria, né di leishmaniosi umana nei reperti osteologici provenienti dai siti di età nuragica. Sono invece risultati positivi alla malaria due campioni esumati da siti come quello di Sa Figu (600 – 560 a.C., periodo Cartaginese). Qui è stato rilevato anche un possibile caso di co-infezione malaria-leishmaniosi. “Anche se occorrerà rafforzare questi risultati preliminari attraverso analisi metagenomica, che abbiamo già impostato – hanno detto gli autori dello studio – quello che è già emerso permetterà di scrivere una pagina nuova non solo nella storia di quell’antico flagello, ma in quella della Sardegna stessa”.

“Quello che è emerso in questo studio – aggiunge Eugenia Tognotti – sembra dare ragione a ciò che hanno sostenuto nel secolo scorso alcuni studiosi sardi: le popolazioni che innalzarono le grandiose costruzioni tronco-coniche, chiamate nuraghi, erano in buona salute, non indebolite dalle febbri. La malaria (gli anofeli erano già presenti, forse trasportati dalle navi fenicie) si diffuse in Sardegna nel V sec. a.C come in altri paesi rivieraschi del Mediterraneo: un effetto della ‘globalizzazione’ indotta dai fenicio-punici nei paesi che si affacciavano sul Mediterraneo”.

18 Ottobre 2013