Il pentito mafioso Messina: “Volevo uccidere Bossi, era contro il Sud”

“Un giorno c’era Umberto Bossi a Catania e io dissi a Borino Micciché: questo ce l’ha con i meridionali , vado e l’ammazzo’. Mi disse di fermarmi: questo è solo un pupo. L’uomo forte della Lega è Miglio che è in mano ad Andreotti”. A raccontarlo è stato il pentito nisseno Leonardo Messina che sta deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, in corso davanti alla corte d’assise di Palermo. Nel corso dell’audizione davanti al pm Nino Di Matteo, Messina, che ha cominciato a collaborare ufficialmente con la giustizia a partire dal 26 giugno 1992, ha rivelato numerosi particolari del suo passato da mafioso, alcune delle quali riguardanti la notte in cui Borsellino venne assassinato: “La notte in cui fu ucciso il giudice Falcone in carcere a Brindisi gli altri detenuti avevano le bottiglie di vino, brindavano. Mentre in me era crescente la repulsione…”. Fu proprio Borsellino che lo spinse a collaborare all’epoca, dicendogli che a loro serviva “solo la verità, non le congetture o i pensieri”.

Messina fu il primo pentito a fare il nome di Giulio Andreotti: “In Cosa nostra si diceva che Andreotti era uomo d’onore, che era ‘punciuto’ (affiliato formalmente, n.d.r) e che ci avrebbe garantito al maxiprocesso”. Il collaboratore di giustizia afferma che inizialmente tra i vertici mafiosi c’era la certezza che il maxiprocesso, in Cassazione, sarebbe finito nelle mani del giudice Corrado Carnevale. “Si riteneva che sarebbe finito in barzelletta”, ha detto. Ma le cose andarono diversamente. “Si seppe che invece a presiedere il collegio giudicante che avrebbe celebrato il maxi sarebbe stato un altro, si capì che i politici si erano allontanati”, ricorda Messina. “Allora ci si cominciò a lamentare di Salvo Lima e Giulio Andreotti – ha spiegato – e si disse che non erano più in grado di garantire nulla”.

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5 Dicembre 2013