Le migrazioni, la Chiesa cattolica e l’Europa

L'opinione di vittorio Guillot

A volte si sente dire che per governare questo mondo e difenderlo dalle guerre, dalle ingiustizie, dal devastante sfruttamento delle risorse e dall’inquinamento globale, sarebbe utile la instaurazione di una Autorità Mondiale che si faccia rispettare da tutti. Il problema , a mio avviso, non è solo quello di istituire una autorità sovranazionale, dotata di una autentica sovranità, che possa effettivamente realizzare una politica unitaria su determinate materie di comune interesse e, in questo quadro, proteggere il mondo dall’inquinamento, sviluppare l’utilizzazione delle risorse naturali in modo che non ne traggano vantaggio solo i soliti noti, intervenire preventivamente per risolvere le controversie internazionali e punire adeguatamente i malfattori internazionali, che possono essere non solo certi Stati ma anche lobbyes ed individui, etc. etc. Ovviamente, anche se non è certo sbagliato coltivarlo, nella situazione attuale della civiltà umana, questo è un sogno molto lontano dalla possibilità di concreta realizzazione. Il problema, semmai, è quello di trovare il modo che questa Autorità internazionale tragga la sua forza non dalle lobbyes finanziarie e capitaliste multinazionali ma dai popoli, che devono essere liberi di esprimere i loro interessi, le loro differenti culture e le loro diverse identità nazionali.

Io credo che il compito della Chiesa, come madre di tutte le genti, dovrebbe essere, fin da ora, quello di cercare tra le diverse culture, religioni ed etnie, quei comuni interessi che, al di sopra delle pur legittime differenze, possano consentire di raggiungere comuni accordi ed obiettivi. Mi sembra, cioè, che, precedentemente ad un improvviso e brutale contatto diretto tra le persone e le culture, si dovrebbe cercare di smussare gli angoli che causano gli attriti. Occorre anche individuare i prepotenti che rifiutano vogliono approfittare del dialogo, o lo rifiutano, negando agli altri persino il diritto di esistere e intendono sottometterli per ragioni economiche, ideologiche, religiose o di qualsiasi altro tipo. E’ ovvio che chi governa Chiesa o società civile ha l’obbligo di difendere i popoli, tutti i popoli, da una tale genia di criminali internazionali. Perciò, il dialogo non deve essere confuso con una generale calata di braghe e con le imprudenti convivenze forzate a cui assistiamo oggi e che sono causa di scontri etnici. Sia chiaro, in ogni caso, che cercare il dialogo e, perché no, la solidarietà tra i popoli non significa neppure negare il valore delle diverse identità nazionali. Tanto per restare in ambito religioso, il Vangelo racconta che il giorno di Pentecoste lo Spirito Divino discese su uomini di tante lingue, razze ed etnie e permise loro di capire quanto dicevano gli Apostoli nel loro idioma. Non sono, per carità, né un predicatore né un teologo e non voglio rubare il mestiere ad altri. Quell’episodio, però, mi piace, parlando laicamente, perché indica che perché i popoli si capiscano, si parlino e collaborino non è necessario giungere ad una omologazione spersonalizzante, ad un ‘pensiero unico’, di stampo totalitario. Al contrario, secondo me, la negazione delle diversità etniche e culturali sarebbe, addirittura, un crimine contro l’umanità di cui si è già macchiato il rozzo internazionalismo materialista e marxista, nella sostanza molto vicino all’internazionalismo che stanno attuando le odierne multinazionali.                          

Purtroppo oggi la globalizzazione viene attuata in un modo disordinato, confuso. Avviene, cioè, accozzando culture contrastanti tra loro ed impreparate a convivere pacificamente. In tal modo si creano nelle varie società le condizioni di conflittualità che impediscono ai singoli popoli di avere quella coesione morale che consentirebbe loro di contare qualcosa sulla scena mondiale e di difendere meglio i loro interessi comuni. Così le potenti lobbyes della finanza e del capitalismo possono imporre più facilmente al mondo ciò che loro conviene. In ciò sono aiutate dai governi di alcune potenze mondiali, a cui sono legate da secolari connivenze, e da larghi strati delle classi politiche e dirigenti di tanti altri paesi minori, tra cui l’Italia. Ciò determina quella rivolta contro la ‘globalizzazione‘ non governata dagli stati ma dai ‘poteri forti’ che si esprime con l’appoggio ai partiti contrari a questa Unione Europea da parte di masse sempre più consistenti. Appoggio che è infantile bollare come semplice ritorno ad un nazionalismo nostalgico e populista perché è, invece, il sintomo di un diffuso malessere e di un profondo timore per un futuro molto incerto.

Piuttosto questo tipo di globalizzazione, tanto cara alle forze del capitalismo finanziario e massonico, dovrebbe essere combattuta, e non agevolata, dalle forze autenticamente progressiste e da chi crede nel valore delle diverse culture e civiltà e, in particolare, dalla Chiesa di Roma. Perciò, anziché favorire le migrazioni massicce ed incontrollate, utili solo a chi vuole speculare sul caos che deriva dal contatto di mentalità, usi e costumi spesso conflittuali, sarebbe molto più saggio e proficuo impegnarsi per la liberazione dai regimi tirannici e corrotti che dominano tanti popoli. In questa ottica mi piacque moltissimo l’azione di papa Woitjla, che tanto coraggiosamente ed intelligentemente contribuì al crollo dei sistemi dispotici e fallimentari dell’Est europeo. Per ottenere risultati concreti e duraturi occorrerebbe anche impegnarsi per lo sviluppo economico dei Paesi da cui partono quelle migrazioni, per la formazione di loro più adeguate, oneste e preparate classi politiche e dirigenti e per il miglioramento delle condizioni di vita di quei popoli.

Occorrerebbe gridare questo desiderio di progresso, di giustizia e di pace a tutti i popoli del mondo, a quelli del nord ed a quelli del sud, a quelli dell’est ed a quelli dell’ovest, piuttosto che lasciarsi travolgere da eventi devastanti. L’Unione Europea, dal canto suo, non dovrebbe considerare l’Africa come una vacca da mungere ma, piuttosto, dovrebbe impegnarsi per la sua stabilizzazione, fondata sul suo sviluppo. Sono convinto che ciò sia facile a dirsi ma certamente difficile a farsi. Ciò non di meno è indispensabile che l’Europa si dia una politica di tale tipo se non vuole restare sommersa dalle ondate migratorie che ne mettono in pericolo la stessa sicurezza e provocano contraccolpi politici destabilizzanti che alimentano i movimenti contrari alla sua stessa unità.

Vittorio GUILLOT, 26 Maggio 2016