La crisi economica: quali ne sono state le cause?

Quali ne sono state le cause? Ritengo che la nostra Costituzione, anche se ormai invecchiata e, come tutte le cose umane, non priva di carenze fin dall’origine, debba essere abbondantemente riformata. Ciò non significa affatto che non debba essere rispettata, finché è così come è, perché nessun Popolo può reggersi senza Leggi e nessuno può arrogarsi il diritto di violarle impunemente. Aggiungo che, malgrado le tante schifezze a cui assistiamo in città, in Italia e nel mondo, ritengo che la politica sia importantissima perché al suo funzionamento , buono o cattivo, sono collegati la vita dei popoli , nonché lo sviluppo o le crisi economiche, che non nascono per caso. Non mi riferisco solo alla politica nazionale, dato che non ci può essere alcun regime autarchico perché nessun Paese può essere economicamente autosufficiente. Visto che alla base dei comportamenti razionalmente voluti dagli uomini c’è sempre una valutazione etica, l’etica è anche alla base del modo in cui vengono applicate le leggi economiche naturali. Comunque sia, le responsabilità della politica italiana, americana ed europea nel sorgere e nel gestire la attuale crisi mi sembrano chiare. In Italia, in fatti, in tempi di “vacche grasse”, si riteneva che, attraverso la regolare tassazione di un’economia ritenuta ottimisticamente in espansione senza limiti, la politica nostrana manco si pose il problema di come far fronte ad un debito pubblico in vertiginosa crescita. A un certo momento, però, entrò in crisi la finanza americana per via dei mutui concessi senza garanzie a debitori insolventi. In questo caso la politica americana fu responsabile di una mancanza di indirizzo e di controllo delle attività monetarie. Conseguentemente, data la carenza di liquidità che seguì al fallimento di alcune banche od alla loro ricapitalizzazione con denari pubblici, si fermò anche quella economia e, con essa si contrassero le esportazioni verso gli U.S.A.. Così entrò in crisi anche l’economia di molti altri Paesi esportatori, compresa l’Italia, ed i mercati non ebbero più fiducia della nostra solvibilità. Perciò gli acquirenti si resero disponibili a correre il rischio di acquistare i nostri titoli di Stato a tassi di interesse sempre più alti. Ciò fece crescere a dismisura il nostro debito pubblico e si arrivò sull’orlo della bancarotta. A questo punto, anche perché la crisi era stata a lungo nascosta o sottovalutata, occorreva cercare di ridurre quel debito nel modo più facile e rapido. Perciò si è agito sulle pensioni e sulle tasse. Tra l’altro la crisi, che colpisce tutto l’occidente, non è combattuta in Europa in maniera tempestiva ed unitaria perché la Comunità Europea non ha un suo autentico Governo che possa direttamente guidare l’economia e la finanza. Ecco la sua debolezza politica, che avvantaggia i “Paesi Emergenti”. Questi, infatti, colgono l’occasione per aumentare le loro produzioni a basso costo e riversare sui nostri mercati i loro “surplus”(e non solo!), contribuendo, all’ulteriore calo delle produzioni europee. Per combattere la crisi, secondo le esigenze dei vari popoli e i timori elettorali dei singoli governi, si richiede il massimo rigore dei conti pubblici, con bilanci in pareggio, o, al contrario, il massimo lassismo, con debiti alle stelle. Fra l’altro la Banca Centrale Europea non può intervenire direttamente sul debito pubblico degli Stati ma può solo prestare denari alle banche private che, così, hanno buon gioco ad acquistare i titoli di stato ai prezzi a loro più convenienti e specularci sopra. Non esiste, in altri termini, una unica politica europea ed ogni Stato ha fatto fronte da solo al proprio debito pubblico o, nella migliore ipotesi, dopo lunghe trattative e compromessi con gli altri. Se, invece, tale onere fosse affrontato dall’Europa per mezzo di Eurobond gli “speculatori” non avrebbero la forza di spuntarla su ciascun singolo Stato. Questo modo di affrontare i problemi purtroppo genera sfiducia nell’Unione Europea, seguita da spinte centrifughe e nazionalismi estremi. La situazione attuale, in ogni modo, ha accentuato la fragilità dell’euro e la debolezza dell’economia europea nel suo complesso, sulla quale pesa particolarmente anche la situazione greca. In quel Paese, infatti, che è importatore dei manufatti prodotti negli altri Paesi, sono stati investiti molti capitali “europei”, che rischiano di essere travolti dal suo fallimento. Si tenga presente che la Grecia fu accettata nell’euro perché aveva ricevuto dei prestiti da certe banche per rientrare nei parametri previsti per aderire alla moneta unica. Ma la Grecia, e, come lei, altri Stati, commise un “falso in bilancio” non iscrivendo quelle somme tra i suoi debiti. Addirittura iscrisse tra i suoi crediti le tasse che prevedeva di riscuotere per sanarli. Anche in questo caso le responsabilità politiche e la “culpa in vigilando” dell’Europa e dei suoi Prodi presidenti di allora sono notevoli. In seguito gli stessi istituti bancari che avevano prestato quei quattrini smascherarono l’imbroglio allo scopo di far crollare i titoli greci e acquistarli ai tassi di interesse a loro più favorevoli… è scorretto definirli figli di buona donna? Così sono crollate la finanza e l’economia greca e si è scatenato l’attacco all’euro. In questa situazione la politica appare impotente di fronte alla forza del capitalismo bancario internazionale e nazionale e non c’è da stupirsi, dato che sembra che le decisioni più rilevanti siano prese dal potere finanziario . Perciò è salita alle stelle la sfiducia verso i partiti, che anche per altri noti motivi hanno dato pessima prova, tanto che molti si chiedono se servono a qualcosa o se non sia il caso che la società civile possa essere direttamente espressa e rappresentata in tutte le sedi in cui si legifera e governa.

10 Giugno 2012