La Catalogna e l’indipendentismo

L'opinione di Vittorio Guillot

Mentre scrivo queste righe la situazione in Catalogna , agitata dalle sfide indipendentiste e dalle contro spinte unioniste, appare piuttosto confusa e preoccupante. Mi dispiace quanto sta accadendo, per i forti legami che legano Alghero a quella Terra e per i tanti amici che ho laggiù. Mi dispiace e un po’ mi sorprende. Dico un” po’ “perché il repubblicanesimo e l’indipendentismo dei catalani, o di molti di loro, non sono certo una novità. Dico , comunque, che mi sorprende perché la  attuale Costituzione spagnola, ispirata a principi liberali e democratici, fu votata e approvata dalle due Camere, liberamente elette, e ratificata il 6 dicembre 1978 da un  referendum popolare, svoltosi in tutta la Spagna, compresa la Catalogna.

Bene, quella Costituzione, dice: “Articolo 1. La Spagna si costituisce come Stato sociale e democratico di Diritto che propugna come valori superiori del suo ordinamento giuridico la libertà, la giustizia, l’eguaglianza e il pluralismo politico. La sovranità nazionale risiede nel popolo spagnolo da cui emanano i poteri dello Stato. 3.  La forma politica dello Stato spagnolo è la monarchia parlamentare. Articolo 2  La Costituzione si basa sulla indissolubile unità della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli, e riconosce e garantisce il diritto alla autonomia delle nazionalità e regioni che la compongono e la solidarietà fra tutte le medesime. Articolo 3 Il castigliano è la lingua ufficiale dello Stato. Tutti gli spagnoli hanno il dovere di conoscerla e il diritto di usarla… Le ulteriori lingue spagnole saranno altresì ufficiali nell’ambito delle rispettive Comunità Autonome conformemente ai propri Statuti. La ricchezza del pluralismo linguistico in Spagna è un patrimonio culturale che sarà oggetto di speciale rispetto e protezione.” A questo punto, data la legittimità democratica di quella Costituzione,  per ottenere legalmente e legittimamente  l’indipendenza occorrerebbe chiedere ed ottenere una revisione costituzionale, secondo le modalità previste da quella stessa legge suprema. Tra l’altro, attualmente la Catalogna ha un suo presidente regionale, un suo governo regionale, un suo parlamento regionale, tutti democraticamente e legalmente eletti, tanto è vero che nessuno ha mai contestato la regolarità di quelle elezioni. Ha anche una sua polizia regionale, gli ormai famosi ‘Mossos de Esquadra’, e, addirittura, ha delle rappresentanze all’estero, come quelle di Roma ed Alghero.

Anche in Catalogna, inoltre, c’è la libertà di voto, di parola, di far parte dei partiti politici come in tutto il resto della Spagna, e quella di esprimersi in catalano anche nei documenti ufficiali usati nell’ ambito della regione. Considerata questa situazione, non mi pare che gli indipendentisti catalani possano vedere riconosciuta dall’O.N.U. la loro richiesta di autodeterminazione. Infatti, secondo le Norme Internazionali, il presupposto per tale riconoscimento è che siano violati i diritti umani e politici. Violazione che, in tutta evidenza, non si è verificata mai fin da quando in Spagna è stato instaurato il sistema democratico. Poiché la Spagna ha potuto aderire all’UE, diventandone uno dei membri più importanti, proprio in virtù della promulgazione di quella Carta Costituzionale, ritenuta in armonia con i principi di libertà e democrazia, credo che gli indipendentisti non possano neppure sperare nell’appoggio della Unione Europea. Un simile appoggio, infatti, suonerebbe come una contraddittoria sconfessione del governo di Madrid e della sua Costituzione. Non vedo neppure come i catalani possano seriamente pensare di far parte della suddetta Unione Europea. Tale adesione, infatti dovrebbe essere approvata all’unanimità da tutti gli stati membri ma il regno di Spagna darebbe il suo consenso? Ovviamente l’esclusione della Catalogna dalla U.E. ne comporterebbe l’esclusione anche dal sistema finanziario comunitario. Quindi le banche di quella Regione non riceverebbero i prestiti della B.C.E. e, di conseguenza, non potrebbero concedere finanziamenti alle imprese e sopravvivere.

Mi chiedo, a questo punto, se fosse più opportuno per i catalani chiedere l’indipendenza  o l’allargamento delle competenze autonomistiche della Generalitat, così come erano state previste dalla Costituzione che loro stessi hanno accettato pacificamente per oltre 40 anni. Competenze che, sostengono, sono state erose nel tempo, a cominciare dall’epoca del governo Aznar. Aggiungo che a me la Costituzione spagnola piace proprio perché “riconosce e garantisce il diritto alla autonomia delle nazionalità e regioni che la compongono e la solidarietà fra tutte le medesime”. Io, infatti, sono convinto che le autonomie istituzionali, finanziarie ed economiche, se non sono soffocate dalla partitocrazia, consentono alle energie umane e produttive ‘locali’ di emergere, liberarsi ed affermarsi molto meglio di quanto consenta un soffocante e burocratico centralismo. In questo quadro, solo una buona autonomia può garantire anche i diritti delle minoranze etniche. Ritengo anche, però, che le autonomie, per non fare la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro, possano vivere solo in seno agli stati nazionali. Occorre, piuttosto, che siano distinte con chiarezza le reciproche competenze e i campi di azione. Solo in questo modo si possono sviluppare quelle sinergie che consentono all’insieme ‘nazionale’ di confrontarsi all’interno della U.E. con altre compagini socio-politiche più forti e, per altro verso, di contrastare, grazie all’Unione Europea, la aggressività delle multinazionali e delle superpotenze vecchie od emergenti. Insomma mi piace l’Europa delle Nazioni e dei Cittadini mentre detesto l’Europa dei burocrati e dei tecnocrati, che ritengo responsabile delle reazioni ‘euroscettiche’ .

E’ chiaro, a questo punto, che considererei catastrofiche e fuori dal progresso storico  anche le richieste indipendentiste di qualsiasi regione italiana, a cominciare dalla Sardegna. I sostenitori dei vari ‘indipendentismi’ affermano che l’inclusione  delle‘Regioni’ agli Stati ‘nazionali ‘ ne limita la sovranità assoluta. Ciò è vero, come è vero che anche la loro ipotetica inclusione nella U.E. vedrebbe limitare questa sovranità proprio dall’Unione Europea. D’altra parte sarebbe folle esporsi  da soli alle grandi sfide rappresentate dalle superpotenze e dalle multinazionali . Ve la immaginate la Sardegna, o la Catalogna, confrontarsi con la Cina o con gli U.S.A.?  Devo dire che, in questa ottica, ritengo positive le recenti proposte di Macron che ha affermato di volere un bilancio comune per gli interventi militari UE in caso di crisi internazionali. Condivido anche la sua proposta di attuare una reale collaborazione tra polizie ed ‘intelligence’ dei vari stati per fronteggiare la criminalità ed il terrorismo e per il controllo delle frontiere ‘esterne’, a cominciare da quelle marittime, nonché per la accettazione dei rifugiati ed il respingimento dei clandestini. Mi piacciono anche le sue parole in merito alla necessità che l’Europa finanzi ed avvii grandi interventi strutturali nei Paesi da cui partono i migranti in modo da migliorare le loro condizioni di vita in patria.

Tutte faccende in cui non solo eventuali ‘separatismi’ uscirebbero perdenti ma, addirittura, i singoli stati nazionali. Dato il logico collegamento tra politica di difesa, politica di investimenti strutturali   e politica estera, mi pare le idde di Macron implichino anche una unica politica estera europea.   Mi piace assai anche l’idea del presidente francese di voler coinvolgere le nazioni, i cittadini e la società reale, cioè quella che lavora e produce, nella gestione dell’Unione Europea, confinando i burocrati ed i tecnocrati nei limiti che gli competono. Spero che queste sue idee si concretizzino, vengano accettate dagli altri membri dell’UE  e non finiscano nel cassetto dei sogni.                                                                                                                                                                                                   Vittorio GUILLOT.

23 Ottobre 2017