Dico la mia: “Squadra che (non) vince, non si cambia”

A distanza di cinque anni dal 2008, quando misi per la prima volta una croce su un simbolo elettorale, mi ritrovo esattamente nella stessa situazione. Ora manca poco più di un mese alla chiamata alle urne, e mentre infuria la campagna elettorale- strombazzata ed altisonante come nella migliore delle tradizioni all’italiana-, le cose, per me, ma credo anche per molti altri, a destra come a sinistra, non sono cambiate.

Lo dico serenamente, come lo dissi (anche se con motivazioni e idee molto diverse da oggi) cinque anni fa, e come ripeto ad ogni tornata elettorale: l’Italia non ha una politica normale. E non ce l’ha per i più svariati motivi: non solo per una legge elettorale il cui soprannome echeggia da anni nelle nostre orecchie ed è tutto un programma, “Porcellum” (coniato tra l’altro dalla mente eccelsa che la legge l’ha partorita), che probabilmente sarebbe sufficiente a definire i contorni di un approccio al voto presidenzialista- con tanto di nomi dei candidati sui simboli- senza che però il presidenzialismo ci sia, e che rende il Parlamento lottizzato dalle segreterie di partito; neanche le tanto declamate primarie, da destra a sinistra, sono riuscite a salvare almeno quella parvenza di democrazia di cui un bipolarismo sano necessita.

Il panorama già a descriverlo così è abbastanza desolante; e a renderlo ancora più terribile non vi è solo la questione degli ‘impresentabili’ (in quale Paese si dovrebbe discutere se Cosentino debba essere candidato o no?), ma soprattutto un bipolarismo insano e muscolare che a me lascia veramente poco spazio. Io, ragazzo di destra, liberale-liberista-libertario, ateo e anticlericale, mi trovo ancora una volta spaesato e anzi, estraneo a questi due blocchi che giganteggiano oggi nei sondaggi. Non è una politica normale quella che costringe al voto di ‘testimonianza’, verso le forze minori, chi come me, in un altro Paese -Germania, Francia- voterebbe senza esitazione centrodestra.

Ma qui, guardo a destra, e nello spazio che in Inghilterra è occupato da Cameron, e negli USA da Ron Paul, mi trovo, come da sempre, e da troppo per quanto mi riguarda, Berlusconi e Bossi. Uno che ha palesemente utilizzato il Parlamento per non finire sotto processo, e un altro che diceva di voler usare il tricolore come carta igienica; e assieme a loro un codazzo di personaggi come Giovanardi, autore di alcune delle perle più medievaliste e bigotte delle ultime legislature, e tutta la Lega Nord coi vari Salvini, Gentilini, Borghezio, di cui, per quanto mi riguarda, basta solo il nome. E alla sola idea di votarli, la nausea è talmente tanta, che probabilmente sverrei dentro la cabina elettorale.

Il centrosinistra non lo prendo neanche in considerazione, cosa che a ben pensarci è anche più normale; devo dire però, che negli Stati Uniti potrebbe anche capitarmi di votare i Democratici, ma il PD è una forza totalmente schizofrenica già al suo interno, e deve poi fare i conti con una coalizione ancora più alcolica, e con l’ipotesi (smentita e confermata a giorni alterni) di una larga coalizione, o grande patto, con Monti dopo le elezioni.
Tirando quindi una linea: so che sarà il centrosinistra a vincere le elezioni, e per quanto mi riguarda, già da un minuto dopo inizierà per l’Italia un’altra fase di instabilità politica alla Prodi nel 2006: ce lo vedete Bersani che prova a mediare tra Vendola e la Bindi, o tra Vendola e Monti? Io, francamente, no.

Non trovo, all’interno di questo bipolarismo, nessun partito che mi rappresenti; neanche nella coalizione che sostiene Monti. Per cui, come credo tanti, anche a sinistra, rivolgerò il mio voto fuori dai Totem più grandi, verso Fermare il declino. Sarà solo al 2%, ma continuo a preferire Zingales e Boldrin a Tremonti e Fassina. Squadra che vince non si cambia, si dice. In Italia siamo andati oltre: le squadre non vincono, ma non le cambiamo lo stesso.

28 Gennaio 2013