Quegli angeli dal cuore grande

Resoconto di una fredda giornata di inizio Gennaio, in cucina, dietro le quinte della mensa Caritas di Alghero: un giorno passato al caldo, in compagnia degli angeli.

Quando ero bambino, credevo che gli angeli avessero le ali e vivessero sulle nuvole. Li immaginavo giovani e belli, nelle loro vesti candide. Leggeri, sorridenti, silenziosi. Premurosi a tal punto, da venire ogni notte a sedere sul cuscino. Poi, crescendo, iniziai a dubitare sempre di più. Nonostante, in diverse occasioni, l’adolescenza mi avesse messo di fronte a episodi, talmente assurdi, da spiegarsi solo con la presenza invisibile e discreta di uno di loro. Come la volta in cui, appena sedicenne, durante la traversata di un ghiacciaio in alta quota, vidi mio padre risucchiato da un crepaccio che gli si aprì improvvisamente sotto i piedi. Quando, ormai, era scomparso fino al torace, tuttavia, una forza misteriosa e sconosciuta lo catapultò fuori, facendolo rotolare, sano e salvo, lontano dalla crepa. Nonostante questo, ed altri episodi altrettanto significativi, continuai a crescere nel dubbio. Mai, però, avrei potuto immaginare che un giorno, la vita, mi avrebbe presentato prove inoppugnabili della loro esistenza. Mai, mi sarei aspettato di scoprire e capire che la loro invisibilità, non dipende dalla loro trasparenza, ma, piuttosto, dalla nostra incapacità di fermarci a guardarli. Noi che andiamo sempre di corsa; che abbiamo sempre qualcosa di meglio da fare; che non abbiamo tempo per certe cose.

Circa un mese fa, alcune persone mi indirizzarono presso la Caritas Diocesana per la risoluzione di un problema che affliggeva una persona a me molto cara. In quell’occasione, entrai in contatto per la prima volta con un universo totalmente sconosciuto. Un’ organizzazione complessa e molto ramificata; eppure, straordinariamente efficiente. Un esercito di volontari che si avvicendano generosamente, spendendosi fino all’ultimo respiro, ma senza stancarsi mai. E più raccoglievo documenti e informazioni per misurane entità e perimetro, più mi smarrivo nella fitta ragnatela di servizi e sedi distaccate. Dall’esame delle carte veniva fuori un’organizzazione gigantesca. Un corpo con mille braccia che garantisce il godimento di servizi sociali indispensabili ai bisognosi. A chi è nudo; è carcerato; ha fame e sete. A chi non ha un tetto; non sa leggere o scrivere; non ha i soldi per curarsi, o difendersi da una società che non guarda in faccia nessuno. Una mole di lavoro così grande che se dovesse mancare d’improvviso, la città intera ne patirebbe.

Eppure, qualcosa ancora non mi quadrava. C’erano almeno due cose che non capivo. Uno: quale fosse il reale interesse di queste persone; due: come potesse, una mole di lavoro tanto grande, essere così silenziosa e tanto poco appariscente. Per spiegarmelo non mi restava che una soluzione: chiedere l’autorizzazione a svolgere un turno di servizio come volontario in una qualsiasi sede della Caritas cittadina.

Una mattina intera, passata a sbucciar patate e a lavare mestoli e pignatte, al servizio di un gruppo di lavoro meraviglioso, mi ha subito fornito le risposte che cercavo. Donarsi agli altri è estremamente appagante. Ecco l’interesse che muove queste persone; non denaro, non gloria, ma gioia interiore: merce rara e preziosa. Non donare, ma donarsi. Non offrire un servizio, un piatto di pasta, ma donare se stessi; la propria amicizia. Questo era ciò che mi sfuggiva e che dall’esame dei documenti e dei freddi numeri non avrei capito mai. Di più, ho anche scoperto che, oltre i volontari, che prestano servizio diretto, ce ne sono molti altri che, nella più totale discrezione, ogni giorno, donano ciò che possono. Dal macellaio al panettiere, dal pasticciere al fruttivendolo, dalla massaia fino al pensionato. Un sottobosco silenzioso di generosità che facilita il lavoro dell’organizzazione. Crea un’atmosfera di gioia partecipativa, di comunità viva e vera. Nell’era dell’apparire a tutti i costi, un piccolo esercito di persone, si muove senza farsi notare. Senza far rumore. Umili e silenziosi. Quando ero bambino, credevo che gli angeli avessero le ali e vivessero sulle nuvole. Ora, mi è bastata una mattina per capire che loro sono in mezzo a noi, tutti i giorni. Forse non sono alti, belli e biondi; non hanno la veste bianca e le ali sulle spalle; ma di sicuro, hanno un cuore grande. Grande come l’amore che seminano in questo mondo; che va troppo di corsa, per accorgersi di loro.

Nella foto: immagine d’archivio

Antonello Bombagi, 7 Gennaio 2016