Perché il cibo può creare infiammazione e alterazioni del Microbiota?

Nel linguaggio comune, siamo abituati a definire infiammazione una manifestazione acuta di dolore, prurito, rossore o bruciore, che si presenta in una specifica parte del corpo e può essere curata con un trattamento a base di analgesici. Tuttavia, non sempre le infiammazioni sono evidenti e facilmente riscontrabili, ma possono rimanere a lungo a bassa intensità per poi esplodere improvvisamente.

È esattamente il caso delle infiammazioni da cibo, delle quali si sta sempre più parlando ultimamente per la loro frequente incidenza su un vasto target di persone.

Potrebbe essere sufficiente eliminare solo un determinato cibo, indigesto per un individuo, oppure intere categorie che irritano lo stomaco, a patto che siano sostituite nella maniera corretta dal punto di vista nutrizionale.

Gli studi in questo settore hanno preso quota dal 2007, tramite lo studio di alcune citochine, che si alzano quando si ingeriscono determinati alimenti non ben tollerati dall’organismo.

Nel 2011 è stata poi l’Università di Harvard a pronunciarsi in merito, definendo un decalogo della buona alimentazione e notando come alcune combinazioni di nutrienti, come specifiche proteine e carboidrati, possono a lungo andare infiammare il tratto gastrointestinale e comportare conseguenze come la colite, la gastrite e il reflusso, la disbiosi (microbiota non sano) patologie che nel tempo divengono croniche se non curate nella maniera corretta, in Rialimenta.com tramite alimentazione e studio del microbiota il team di biologi aiuta a riequilibrare lo stato di salute.

Nel 2017 la comunità scientifica ha confermato che alcune delle più note infiammazioni da cibo sono dovute a un eccesso di zuccheri, quindi un regime alimentare corretto dovrebbe contenere tale elemento ma senza eccedere troppo nelle quantità.

Pensa alle nuove definizioni riguardanti le infiammazioni che colpiscono il corpo a seguito di una dieta errata, come quella di Gluten Sensivity, che in passato sarebbe passata certamente inosservata e magari un’ampia fascia della popolazione avrebbe sofferto di dolori e fastidi senza sapere esattamente la motivazione. Non si tratta infatti di una vera e propria celiachia, ma semplicemente di una reazione più o meno intensa a un elementi come il glutine, che pertanto è meglio evitare al fine di non irritare lo stomaco, il colon e l’intestino.

Quali possono essere quindi le conseguenze se si ignora questa condizione di sensibilità ad alcuni alimenti e la conseguente infiammazione da cibo?

Già nel 2010 si è compreso come alcune delle principali malattie autoimmuni, come ad esempio il Lupus o l’artrite reumatoide, possono essere connesse a tale condizione e la loro incidenza è in aumento nella popolazione a causa di un’alimentazione sempre più selvaggia e che tiene poco conto dei campanelli d’allarme che il corpo offre.

Esistono poi persone che, nonostante seguano un regime alimentare ipocalorico e svolgano una costante attività sportiva, non riescono a dimagrire come dovrebbero e presentano sempre un addome gonfio e prominente. Anche questo è uno dei sintomi principali dell’infiammazione da cibo, in quanto sono molti gli alimenti in commercio che usano eccessive quantità di lievito e sostanze fermentate, che continuano all’interno dello stomaco.

Tale condizione infiammatoria si presenta soprattutto se si consumano ingredienti industriali e non si prediligono soluzioni più naturali.

Lo scopo della medicina moderna in ambito alimentare è diventato quindi quello di creare dei profili individuali, permettendo a ognuno di variare la propria dieta in tavola senza imporsi restrizioni troppo rigide, pur mantenendo il peso desiderato con il controllo delle quantità ed evitando che l’apparato gastrointestinale possa infiammarsi nel breve termine o in forma cronica.

Esistono delle analisi di laboratorio per le intolleranze alimentari?

Si può presumere che avere delle intolleranza crea infiammazione, questo è un ragionamento ovvio e certamente veritiero. Abbiamo scritto un intero articolo sui vari tipi di test per le intolleranze alimentari e nel 90% dei casi tali test non hanno valenza scientifica, ovvero non sono approvate dal mondo accademico delle medicina, ti chiederai perché li vendono anche in farmacia? Per semplice Business. Questo non vuol dire che sono del tutto non funzionali.

Dei campanelli d’allarme si hanno dai ricettori chiamati Toll like receptors 2, che hanno il compito di mettere il fisico in allerta e informarlo se sta portando avanti delle abitudini alimentari scorrette. Ignorare questi avvertimenti significa probabilmente convivere per tutta la vita con l’infiammazione dell’apparato gastro intestinale, in un solo tratto o contemporaneamente su tutta la linea, con un conseguente peggioramento della qualità della vita.

Tramite un sistema di misurazione sui valori PAF e BAFF, è possibile attualmente verificare e determinare la forza di un’infiammazione di questo genere, elaborando una diagnosi accurata e ricorrendo poi a una dieta specifica per lenire ed eliminare definitivamente il problema.

La produzione di una quantità superiore alla norma di BAFF, acronimo di B Cell Activating Factor, e di PAF, che sta per Platelet Activating Factor, è stata ascritta al cibo dopo una serie di studi accurati, che solo attualmente sono stati trasferiti in ambito clinico e hanno trovato un’applicazione nella medicina.

Analisi delle intolleranza con le Immunoglobuline G

I classici test delle intolleranze tramite prelievo di sangue, addirittura alcuni usano una sola goccia, oramai spopolano in ovunque.

Secondo il Dott. Finkelman, che si è dedicato in particolare allo studio delle Immunoglobuline G, i risultati positivi della intolleranza  sono causati degli anticorpi che tendono a permanere all’interno del corpo e forniscono delle informazioni che tuttavia necessitano di essere lette in maniera approfondita.

Potrebbero essere infatti segno che da bambini si è sofferta una particolare intolleranza nei confronti di un alimento, poi rientrata, oppure che se ne consuma una quantità eccessiva e il corpo reagisce.

In sostanza come funziona? In modo semplicistico si prende un alimento lo associano al proprio sangue e osservano la presenza di anticorpi, se ci sono anticorpi vuol dire che (secondo questi test) che c’è una potenziale intolleranza, una intolleranza passata, o una intolleranza attuale.

Usare o non usare i test delle intolleranze?

In verità, spendere 200-300€ per analisi delle intolleranze alimentari può essere un errore, le informazioni che sui livelli di anticorpi generati non ha fondamenti scientifici, spesso ci capita di vedere liste di alimenti su test di pazienti che a suo dire “non gli creano nessun disturbo”.

Attenzione, ci sono diversi test validi come quello sulla celiachia o l’intolleranza al lattosio che forniscono indicazioni concrete sulla intolleranza, questi sono scientificamente

9 Febbraio 2023