“Insularità in Costituzione: nessuna vittoria, solo un pareggio pericoloso”

L'opinione di Stefano Lubrano

L’enfasi con cui la politica sarda esulta per la recente approvazione in Parlamento della modifica dell’art 119 della Costituzione italiana con cui si riconosce il concetto di insularità è comprensibile ma, a mio parere, eccessivo e fuorviante. Lo stile e il contenuto dei vari proclami, infatti, lasciano intendere all’opinione pubblica che vi sia stato un riconoscimento specifico per la Sardegna e che grazie a questo determinante passaggio legislativo le cose per i sardi miglioreranno. A tal proposito è bene evidenziare che il nome della Sardegna non è mai riportato nel nuovo testo dell’art 119 della Costituzione; si parla di “Isole”, tutte le isole ricomprese nella “Repubblica italiana”, che vengono riconosciute come “peculiari”.

Queste puntualizzazioni non vogliono essere un esercizio di semantica, ma hanno lo scopo di porre in evidenza come l’uso della parola italiana possa assumere nel linguaggio legislativo significati ambigui e poco chiari per i non addetti ai lavori. Il testo iniziale proposto a Camera e Senato dal Comitato per l’insularità che, occorre dirlo, ha svolto in tal senso un’azione encomiabile, indicava lo Stato, ovvero il Governo, come entità per il riconoscimento “del grave svantaggio dato dall’insularità” e per “garantire parità di diritti”. Nel testo approvato invece scompare la parola “Stato” e appare quella di “Repubblica” che, nel linguaggio della pubblica amministrazione, include anche Regioni, Province e Comuni di tutta Italia, sardi inclusi; inoltre, non si parla più di ridurre lo svantaggio dato dalla condizione di insularità ma di “promuovere”, in forma generica, “le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità.”

Con un testo così generico e per niente chiaro, si rischia fortemente di sentirsi dire nel corso della prossima legislatura che i sardi sono stati accontentati e quindi non hanno più nulla da rivendicare e, considerando le mancate promesse subite dallo Stato nel corso dei decenni, vi è il timore fondato che ai sardi non restino che parole vuote come le loro tasche. Da diverse parti si sente dire che ora occorre riempire di contenuti questa riforma. In realtà il contenuto esiste già. Il 2 febbraio 2021 è stato presentato al Senato il DDL 2084 in cui viene riportato lo studio della Fondazione Bruno Leoni che quantifica in circa € 5.700 pro-capite il costo dell’insularità per la Sardegna: circa 9 miliardi di euro l’anno.

Se si considera che il PIL regionale è di 20 miliardi di euro è facile comprendere la portata degli svantaggi a carico dei sardi e l’assenza di parità rispetto agli altri territori nazionali, altro che Statuto speciale. Oltre al contenuto vi è anche oggi una formidabile occasione per impegnare la politica sarda e nazionale per approvare questo documento: le elezioni politiche del 25 settembre prossimo. I sardi oggi possono chiedere a voce alta alla pletora di politici che si presenteranno in “parata elettorale” da qui al voto, l’unica cosa davvero utile per ridurre il disagio dello stato di insularità, i 9 miliardi di euro l’anno. Tutto il resto è aria calda.

Stefano Lubrano, 2 Agosto 2022