Diocesi; Inopportuna l’intenzione di chiudere il Carcere di Macomer

All’interno del territorio della chiesa locale di Alghero Bosa, sono presenti due realtà che quotidianamente sollecitano le comunità civili e cristiane a mettere a disposizione il tempo, ad elaborare idee e suscitare iniziative per rendere più umana la vita di quanti vivono la detenzione nelle strutture di Macomer e di Alghero. Da una parte, i due carceri offrono ai detenuti la possibilità di trascorrere il tempo della pena entro spazi vivibili con attività culturali ed educative, dall’altro canto sono stimoli per la promozione di una cultura dei diritti umani ed un rispetto della dignità di ogni persona.

Il legittimo ricorso a strategie di risparmio in questo tempo di crisi conclamata, non dovrebbe promuovere la chiusura dei servizi alla persona, ma privilegiare la creazione di seminari di verifica storica sulle scelte gestionali, politiche e amministrative e ridisegnare nuovi percorsi di speranza e di superamento della difficile congiuntura economica.

All’orizzonte, sembrano delinearsi due opposti orientamenti. Sicuramente per alcuni, la chiusura del carcere potrebbe sembrare la soluzione vincente per contenere la spesa pubblica. Per molti altri invece, sembrerebbe riduttivo e sbrigativo ricorrere alla chiusura definitiva del carcere, dando avvio all’esodo di uno stuolo di persone che aggiungendo pena su pena, riceverebbe un’ulteriore condanna di una vita spersonalizzata.

Per la società civile e per lo Stato sarebbe una sorta di analfabetismo di ritorno su ambiti culturali ormai superati grazie alla Costituzione Italiana, a progetti ministeriali, al volontariato che vedono nella reclusione un ambito privilegiato dove convertire il proprio cuore e porre le basi per un successivo inserimento equilibrato nella società.

La chiusura del carcere di Macomer potrebbe dare l’illusione di un effettivo contenimento delle spese, ma in realtà metterebbe in evidenza una regressione culturale che non intende affermare la dignità umana dei detenuti e dei loro diritti fondamentali.

Davanti ad un’umanità dolente desiderosa di riscatto e di perdono e destinata ad incrementare la già sovraffollata popolazione carceraria, la chiesa locale non può tacere. La chiesa locale sente il gemito di chi subisce il trasferimento non per rispondere ad un principio costituzionale di riabilitazione ma solo per rendere ancora più difficile il cammino di recupero alla vita sociale.

9 Febbraio 2013