I valori dello sport

L'opinione di Antonello Muroni

Ho letto nelle dichiarazioni di diversi Dirigenti sportivi di diverse Associazioni un vero e proprio grido di disperazione e voglio fare delle considerazioni, utilizzando anche delle notizie prese da articoli di riviste specializzate. In Italia, in Sardegna è ormai noto, il rapporto tra politica è sport non è sempre dei più facili. Troppo spesso, infatti, chi amministra la cosa pubblica ignora un settore socialmente importante come quello sportivo, per poi salire sul carro dei vincitori in caso di successi nelle competizioni più importanti. Esempi: gli atavici ritardi accumulati nei rimborsi alle Associazioni partecipanti ai Campionati Nazionali da parte della Ras, ai contributi dell’impiantistica sportiva bloccati dall’onnipresente patto di stabilità e ora nel chiudere Sardegna Promozione che avrebbe potuto dare un po’ di disponibilità economica alle associazioni. È anche vero, però, che lo sport non è l’unico campo fortemente trascurato dalla politica italiana: questo ha, infatti, compagni eccellenti come la cultura e l’istruzione. A questo punto, l’unica conclusione possibile è che la scarsa considerazione di cui gode lo sport in seno alla politica italiana e sarda, sia dettata non tanto da una scelta coscienziosa, ma piuttosto da un’incapacità generale di gestire tutto ciò che rientra negli interessi dei cittadini.

Anche se non dovrebbe esservene bisogno, vogliamo ricordare ai nostri politici che lo sport, oltre a garantire il benessere fisico di chi lo pratica, svolge delle funzioni fondamentali dal punto di vista sociali, favorendo l’integrazione delle minoranze, il rispetto dell’altro, la lealtà, la prevenzione della criminalità e tanti altri valori che troppo spesso vengono a mancare nella società contemporanea. Eppure, altrove nel mondo lo sport ha grande prestigio e interesse nel mondo della politica, sia perché rappresenta una vetrina che ogni Paese può offrire per mettersi in luce davanti al resto del mondo, sia perché può garantire, soprattutto per i giovanissimi, quelle funzioni che scuola e famiglia non sempre riescono a ricoprire. Quello che i nostri politici non vogliono capire è il «ruolo sociale dello sport», cioè cosa rappresenta lo sport perché fenomeno sociale; la sua «dimensione economica dello sport», ossia il contributo dello sport alla crescita e alla creazione di posti di lavoro; e l’«organizzazione dello sport», cioè il ruolo di ciascuno dei protagonisti (pubblici o privati, economici o sportivi) nella governance del movimento sportivo. Non lasciamo i nostri giovani, in preda agli usi e abusi della società contemporanea. Perché i pericoli sono tanti, a iniziare dalla droga, di cui si parla molto meno che in passato anche se in realtà ha solo cambiato modo di consumo ed è anzi una presenza che s’insinua sempre più nella vita dei nostri adolescenti.

Diamo loro opportunità per impegnarsi, crearsi una rete di relazioni “sane”, scoprire una passione e coltivarla, a iniziare dallo sport, che con i suoi valori di sacrificio e lealtà può fare la differenza nel tenere lontano i giovanissimi da certe brutte strade. Provo a elencare per i nostri Politici e non solo le molteplici valenze che sono proprie dello Sport: Rapporti con gli altri. Lo sport come agenzia di socializzazione che permette d’allargare i propri orizzonti cognitivi. Il confronto con gli altri è un valore centrale delle pratiche sportive, sia quelle direttamente svolte dagli allievi, sia quelle fruite direttamente sui campi da gioco oppure attraverso i media. Spirito di squadra/senso d’appartenenza. Lo sport come costruzione di relazioni. Chiunque pratica uno sport, specialmente se è uno sport di squadra, impara a stare in un gruppo, a decifrare e condividere le regole che caratterizzano questo gruppo, a individuare punti di riferimento all’interno di tale gruppo. Ma qualcosa d’analogo accade anche negli sport individuali, che comunque richiedono la condivisione di spazi e pratiche (la palestra, il campo d’atletica, ecc.).

Rispetto dell’altro. Chi pratica uno sport sa bene che il rispetto prima che agli avversari va riconosciuto ai propri compagni di squadra e a quanti – all’interno della propria associazione sportiva – permette la realizzazione della stessa. L’associazionismo sportivo e il volontariato che lo anima sono spesso dimenticati dagli stessi praticanti e dalle loro famiglie. Puntualità agli appuntamenti, impegno negli allenamenti e nelle competizioni, decoro nell’abbigliamento e riconoscibilità dell’appartenenza (indossare la divisa della società ecc.) sono tutti segnali del rispetto che si ha nei confronti di se stessi e dei propri compagni. Poi c’è il rispetto dell’avversario, formalizzato da una ritualità molto forte nello sport. Integrazione sociale. Lo sport è un grandissimo vettore d’integrazione. Basta affacciarsi la domenica su qualsiasi campetto di periferia per costatare come quanto più giovani sono i praticanti maggiori, è la varietà della provenienza etnica all’interno di ogni squadra. Peraltro, l’inserimento in una squadra di un qualsiasi sport spesso ribalta le gerarchie sociali e culturali vigenti. Se l’inserimento scolastico di un cittadino recentemente immigrato talvolta risente delle difficoltà linguistiche e culturali, oppure delle difficoltà economiche di cui l’immigrato spesso è vittima, nella pratica sportiva questi gap sono minori e, talvolta, addirittura si ribaltano, per cui attraverso la pratica sportiva si ridefinisce il complesso sistema delle gerarchie sociali e della conseguente autostima.
Affermazione del merito.

La pratica di uno sport mostra come il successo sportivo si costruisca lentamente e richieda tantissimo impegno, dedizione e passione. Una considerazione apparentemente banale, ma che è opportuno ripetere se si pensa a come spesso nell’immaginario collettivo il campione sia un fortunato predestinato arrivato lì per caso e per fortuna. La sempre maggiore visibilità degli atleti, l’aura glamour che li circonda fa perdere di vista la lenta, progressiva e spesso tortuosa selezione che sta dietro la biografia di un successo. Lealtà. Il riconoscimento del merito è anche una pratica di lealtà. Riconoscere la giustezza della sconfitta, il valore dell’avversario, così come l’opportunità d’impiegare altri compagni di squadra al proprio posto è pratica di lealtà. Imparare a sopportare i costi di un’esclusione, così come ad ammettere la sconfitta, anche e soprattutto se immeritata, è una dote fondamentale nello sport. Uno dei motivi che rende particolarmente attraente lo sport è proprio che di solito – nel lungo periodo -emergono i migliori, cui va tributato il giusto riconoscimento; ma può anche capitare il caso, la fortuna che per una volta premia diversamente.  La lealtà richiama la natura relazionale dello sport, ogni sport – soprattutto quelli di squadra – si pratica con altri e non contro gli altri; anche se poi l’obiettivo è la competizione e il superamento dell’altro.

Competizione. Esortare a comportamenti leali non vuol dire sottovalutare il valore della competizione. Spesso si propone d’eliminare i risultati dagli sport praticati dai bambini e dagli adolescenti. Sarebbe una pratica enormemente diseducativa, pensabile soltanto in una società terapeutica, come spesso tendiamo a essere, in cui si protegge il minore da tutto, confinandolo in una metaforica campana di vetro, da dove non dovrebbe vedere il mondo e farsi sentire da esso. Invece, l’educazione al risultato è uno dei grandi valori dello sport. La vittoria non va concepita come sopraffazione, bensì come raggiungimento di un obiettivo che richiede impegno, sacrificio, passione, determinazione. Il risultato educa al perseguimento dell’obiettivo, che deve essere concepito soprattutto come affermazione del sé. Negli ultimi mesi è capitato più volte di leggere sui giornali di proteste da parte di giovani atleti, che lamentano un’eccessiva eccitabilità dei propri parenti nel seguire le loro prestazioni sportive. Ovviamente, tutti riconosciamo la giustezza delle loro posizioni, ma spesso la motivazione è in parte fuorviante: bisogna fargli vivere l’attività sportiva come un gioco.  Detto che in qualsiasi gioco, legittimamente, ogni bambino vuole vincere, bisogna ricordare che lo sport è una pratica finalizzata al divertimento e al rilassamento, ma il suo principale valore educativo consiste proprio nel misurarsi con sé, con il proprio corpo, scoprendolo, capendone le potenzialità, ma anche misurarsi con gli altri. Nello sport, come più volte ricordato, è centrale la tensione alla relazione, che si realizza anche attraverso l’affermazione della propria identità, che passa attraverso il risultato, il raggiungimento dell’obiettivo.

E’ pertanto giustissimo stigmatizzare comportamenti violenti e conflittuali di genitori, che scaricano le proprie frustrazioni (sportive e non solo) eccitando allo scontro dagli spalti, oppure pretendendo prestazioni perfette, come nemmeno i professionisti possono assicurare; ma è ugualmente giusto che i genitori spronino all’impegno e alla determinazione nello svolgimento dell’attività sportiva. Purtroppo ci sono altre problematiche, la Sardegna conquista un primato negativo tra le regioni italiane: l’Isola ha il più alto numero di studenti che abbandonano la scuola prima del diploma. Tra i ragazzi che cinque anni fa si sono iscritti in un istituto superiore, uno su quattro non ha terminato gli studi: il risultato è un esercito di settemila giovani sotto i diciotto anni che dal Nord al Sud della Sardegna viaggeranno nel mondo del lavoro solo con la terza media. A descrivere l’inquietante quadro della gioventù isolana è il rapporto “Dispersione nella scuola secondaria superiore statale” pubblicato pochi giorni fa dalla rivista Tuttoscuola: un dossier da allarme rosso che parla di tre milioni d’italiani che hanno smesso di studiare negli ultimi quindici anni.
“Dispersione fa rima con disoccupazione – scrive il comitato scientifico che ha curato il rapporto, ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano, non fanno formazione o apprendistato”.

Di questa marea d’italiani con la terza media la Sardegna “vanta” il numero più alto: 6.903 studenti pentiti. Nella classifica regionale, in testa c’è Sassari, seguita da Cagliari, Oristano e Nuoro. Sono il 36,2 per cento i giovani che, pur iscritti a scuola, non arrivano alla soglia dell’esame di maturità. Il dato preoccupa ancora di più se si pensa che nel resto dell’italia la media sia del 27 per cento. L’Isola è comunque in “buona” compagnia con Sicilia e Campania che non fanno meglio di noi. Possiamo passare a un altro triste primato presente tra i nostri giovanissimi. Quest’articolo è molto esaustivo e invitiamo molti dei nostri politici a leggerlo e rendersi conto che anche e non solo l’attività sportiva potrebbe aiutare: “Abuso di più sostanze stupefacenti, problemi psichiatrici in crescita e consumo di droghe tra i giovanissimi, anche 12enni. In Sardegna è allarme. «Troppe vittime da overdose, l’aumento delle persone che utilizzano più sostanze stupefacenti, come cocaina, ketamina e anfetamina. Infine la crescita continua dei ricoveri per problemi psichiatrici dovuti alla droga. Siamo preoccupati, inutile nasconderlo». In un quadro di sostanziale stabilità, le ultime rilevazioni dello studio Espad-Italia 2012 curato dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa sull’uso di sostanze psicotrope da parte degli studenti vedono in crescita cannabis, eroina e stimolanti.

Netta la prevalenza maschile per tutte le sostanze. Tendenza all’incremento soprattutto nel Sud Si stima che nel 2012 – su una popolazione scolastica pari a 2,5 milioni di ragazzi – oltre 500mila studenti delle scuole medie superiori abbiano consumato cannabis, poco più di 60mila cocaina e 30mila oppiacei. Ci sono poi i consumatori di allucinogeni e stimolanti: circa 60mila per ciascuna categoria di sostanze. A dirlo, sono i dati di Espad-Italia (European school survey on alcohol and other drugs), 15esima edizione dello studio sulla popolazione studentesca, realizzato per il nostro paese dal Reparto di epidemiologia e ricerca sui servizi sanitari dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ifc-Cnr).

L’indagine ha coinvolto 45.000 studenti delle scuole medie superiori e 516 istituti scolastici di tutta la penisola. “Il nuovo studio attesta una generale tendenza alla stabilizzazione nel numero di consumatori per tutte le sostanze; tuttavia, si osservano alcuni interessanti incrementi”, dichiara la responsabile dello studio, Sabrina Molinaro dell’Ifc-Cnr. “I dati parlano innanzitutto di un aumento del consumo di cannabis: nel 2012 dichiarano di averne fatto uso almeno una volta nella vita e negli ultimi dodici mesi rispettivamente il 28,1% e 22,1% del campione, contro il 27,5% e 21,5% rilevati nel 2011. Il dato nell’ultimo anno pone l’Italia cinque punti sopra il 17% di media europea, seppur lontanissima dal 42% della Repubblica Ceca e dal 39% della Francia. I ragazzi sono più coinvolti delle coetanee (27% contro 17%) e l’assunzione è avvenuta venti o più volte nell’ultimo anno per il 31% dei consumatori e il 16% delle consumatrici. L’età media del primo contatto è 15 anni”. Aumentata lievemente anche l’assunzione di stimolanti: 3,8% nella vita e 2,6% nell’ultimo anno, contro 3,6% e 2,4% della precedente rilevazione, con un picco (consumi ultimo anno) del 4% tra i 19enni. Anche in questo caso, come avviene in genere, i maschi sono più attratti rispetto alle ragazze (3,6% contro 1,6%), in particolare da amfetamine ed ecstasy. L’eroina, sostanza in flessione rispetto al decennio scorso, segnala una lieve ripresa nell’ultimo anno: dall’1,2% nel 2011 all’1,3% (2% tra i maschi, 0,6% tra le ragazze) e anche tra gli assuntori frequenti (10 o più eventi nell’ultimo mese) si passa dallo 0,5% allo 0,6%. La cocaina è stata assunta nell’ultimo anno dal 2,7% degli intervistati (dato uguale al 2011), in maggioranza ragazzi (3,8% contro 1,6%); si attesta sullo 0,7% la quota di chi la assume regolarmente.

“Per le sostanze alcoliche si registra un primato tutto italiano: nel 2012 il consumo nella vita interessa l’88,6% del campione, quello nell’ultimo anno l’81,1% e il 64,7% degli intervistati ha bevuto nell’ultimo mese”, prosegue la ricercatrice. “Un dato che ha origini culturali e non evidenzia particolari comportamenti a rischio, ma va sommato a quel preoccupante dell’binge drinking’ (almeno cinque bevute in un’unica occasione) praticato dal 35,1% degli studenti, tra i quali il 60% dei maschi e il 68% delle femmine riferiscono uno o due episodi il mese e più di un quinto da tre a cinque volte”. Il dato sull’ubriacatura resta comunque inferiore a quello della media europea. Negli ultimi anni, inoltre, dilaga il consumo delle cosiddette bevande energetiche, che si attesta al 41% del campione. “Nonostante siano, analcoliche, queste bevande contengono sostanze stimolanti che spesso si abbinano all’abuso di alcol”, osserva Molinaro. “Gli utilizzatori di queste bevande si ubriacano più del doppio rispetto a chi non le beve: il 40,5% almeno una volta nell’anno (contro il 19%), il 54,3% nell’ultimo mese (contro il 28%) ”. L’uso di cocaina in Sardegna è passato così dal 3,8% rilevato nel 2011 al 4,6%; in Sicilia dal 3,5% al 4,3%; in Calabria dal 3,6% al 3,9%. I consumi di cannabis presentano un’inversione di tendenza dopo una lenta e costante diminuzione dal 2008 in quasi tutte le regioni e anche se l’incremento riguarda soprattutto i maschi, si registra un aumento tra le ragazze in Calabria, dal 9,5% del 2011 al 13,3% del 2012; in Basilicata dal 13,1% al 15,3% e in Puglia dal 14% al 16,2%. Sull’eroina, le prevalenze più elevate riguardano ancora i ragazzi del meridione: nelle due Isole maggiori e in Calabria le prevalenze sono del 2,4%; in Basilicata, nel Molise e in Puglia del 2,3%, con notevoli incrementi rispetto al 2011.

Dopo questo quadro poco esaltante sarebbe utile che politici capissero l’importanza dello sport e l’importanza di incrementare le iniziative che possano contribuire a quello che chiamiamo una “offensiva pedagogica”, per trarre profitto da un indiscutibile valore educativo delle attività sportive. Spetta a tutti la responsabilità di rafforzare le attività sportive giovanili, considerate un potente strumento che contribuisce a promuovere l’educazione in un contesto multiculturale, per supportare gruppi svantaggiati, per sostenere la coesione sociale e naturalmente per spazzare via le esclusioni sociali. Tutti sono chiamati a far fronte alle proprie responsabilità. Soprattutto a chi ha Ruolo Politico all’interno delle Istituzioni, In questo campo non c’è spazio per malintesi, incomprensioni o gelosie tra individui politici, fra territori e organizzazioni legate allo sport e all’educazione. Riconosciamo quindi che questo è un compito che merita di essere svolto e tutti dobbiamo assumerci le nostre responsabilità…in primis la Politica.

9 Novembre 2014