Potremo uscire dalla crisi economica?

L'opinione di Vittorio Guillot

In un precedente articolo ho sostenuto che chi ha minore disponibilità finanziaria ha anche una minore predisposizione al risparmio . Ciò mi sembra un dato di fatto perché, dopo aver pagato l’affitto di casa, il cibo, il vestiario e le varie bollette e tutte le spese indispensabili per il mantenimento, a mio avviso, che suppongo sia anche il vostro, nelle tasche dei meno abbienti rimane ben poco o niente. Molto spesso, anzi, rimangono per loro solo i sacrifici, la rinunzia a cose essenziali e i debiti. Lasciando più denari nelle loro tasche si consentirebbe loro, invece, una maggiore possibilità di far fronte alle spese per beni e servizi essenziali e, conseguentemente, se ne incrementerebbero la produzione e le conseguenti possibilità di prestazioni di lavoro. Infatti, per esempio, supponiamo che una sola persona disponga di 10.000 euro e che, dopo averne speso la metà per le sue esigenze, ne metta nel cassetto l’altra metà. Supponiamo anche che, invece, la stessa cifra venga suddivisa tra 10 persone, e che ciascuna di queste spenda l’intera cifra per i beni e servizi primari. In tal modo la suddivisione del reddito farebbe girare maggiormente i denari e l’economia. Ecco perché una maggiore ripartizione dei redditi sarebbe economicamente più utile. Facendo questo semplice, banale ed esemplificativo esempio “di scuola” non voglio minimamente sembrare comunista e marxista. Infatti non accetto affatto il tirannico totalitarismo insito nelle messianiche idee di Marx. Non accetto neppure il dirigismo statalista per cui la politica, in particolare quella economica, debba essere diretta dal solo e “illuminato” partito comunista, che stabilisca quali siano le necessità che ogni cittadino potrebbe soddisfare, e come e in quale misura. Non accetto neppure la assoluta negazione della proprietà e della iniziativa privata. Considero, poi, addirittura ingiusto l’egualitarismo che non premi, anche economicamente, i maggiori meriti, le maggiori responsabilità, i maggiori impegni, rischi e sacrifici . Quell’egualitarismo sarebbe, addirittura, socialmente dannoso perché difficilmente si troverebbero dei soggetti disposti a assumersi maggiori oneri e “rogne” se non fossero ricompensati con maggiori vantaggi. Malgrado ciò confermo che tutte le attività economiche private debbano essere non solo permesse, ma addirittura incoraggiate e agevolate, nell’interesse sociale e, quindi, nel quadro degli obiettivi e delle norme che la società individua e si dà liberamente e democraticamente. In questo quadro può essere utile, oltre che giusto, aiutare finanziariamente i cittadini più bisognosi, anche a scapito di quelli più benestanti. Perciò sono dell’opinione che per sostenere una tale politica economica, se il sistema non può reggere ulteriori imposizione tributarie ed essendo ingiusto ed inutile sottrarre risorse finanziarie ad altre categorie, come quelle che “godono” di basse pensioni, non resti che tagliare i pubblici sprechi e aumentare percentualmente il carico fiscale sulle categorie più agiate o, meglio, sui capitali non utilizzati per investimenti . Anche se non sono un economista, faccio presente che queste mie idee nascono dalla mia simpatia per Keynes e per la sua teoria dell’uso della spesa pubblica per superare, entro i limiti delle potenzialità economiche, la crisi che ha colpito il mondo occidentale, come già avvenne sia negli U.S.A. che in Italia negli anni ’30 .Perciò non condivido per niente l’obbligo che i bilanci pubblici debbano essere in pareggio. Avrei preferito, semmai, che fosse obbligatorio tenere sotto controllo la spesa pubblica nel senso che essa avvenisse secondo programmazioni accompagnate da verifiche periodiche e ad eventuali rettifiche, oltre che da una chiara e trasparente esposizione ai cittadini. Non mi pongo il problema se questa ricetta sia “di destra” o di “sinistra”. A mio avviso l’importante è valutare se servirebbe o no per uscire dal pantano in cui ci troviamo. Personalmente non sono affatto contrario al risparmio in termini assoluti perché credo che esso, oltre che per far fronte alle necessità dei periodi di “vacche magre” e, quindi, a far girare l’economia anche in tempi di crisi, costituisca un elemento fondamentale nella formazione dei capitali indispensabili per l’espansione economica e per il rinnovo dei macchinari e delle strutture obsolete. In questo insieme credo che lo stato dovrebbe stimolare le banche a svolgere il loro ruolo di supporto attivo all’economia , separando nettamente gli istituti di credito per investimenti da quelli destinati a speculazioni finanziarie. E’, piuttosto, compito della politica valutare se, nell’ottica dell’interesse generale e delle situazioni concrete, sia opportuno incrementare i consumi o il risparmio e gli investimenti. Credo che in queste scelte e valutazioni i politici dovrebbero chiedere il supporto delle categorie economiche, imprenditoriali e lavorative, calate nella realtà quotidiana, più che quello degli illustri economisti. Questi ultimi, infatti, visto che, soprattutto in fatto di previsioni ,cantonate ne hanno prese tante, a me sembrano più degli alchimisti alle prese con una scienza occulta , sconosciuta anche a loro, che personaggi che sanno ben vedere e interpretare la realtà dei fatti. Non dubito che la stabilità politica , la burocrazia agile , rapida e formata da personale scelto per meriti e capacità tecniche e una efficiente e veloce amministrazione della giustizia, soprattutto quella civile e amministrativa, incoraggino le iniziative economiche. Perciò , se vogliamo risolvere i nostri problemi, è indispensabile una profonda revisione istituzionale e costituzionale che coinvolga l’intero sistema socio-politico. Renzi sta muovendo i suoi primi passi in questa direzione? Mi sembra di si e, perciò, lo osservo con particolare interesse.

Vittorio Guillot, 31 Marzo 2014