Paolo Fresu risponde a Libero: «Polemica su compenso è vendetta del giornale»

In un lungo e denso post su facebook, Paolo Fresu "le suona" al quotidiano Libero

In un lungo e denso post su facebook, Paolo Fresu “le suona” al quotidiano Libero, che giorni fa aveva mosso una polemica a proposito del compenso ricevuto dal musicista sardo per il concerto del 27 luglio scorso sull’altipiano di Folgaria in occasione dell’anniversario della Grande Guerra.

«Leggo da Ankara con tristezza e costernazione ciò che ha scritto e postato il vice-direttore di Libero Franco Bechis riguardo al mio concerto del 27 luglio scorso sull’altipiano di Folgaria in occasione dell’anniversario della Grande Guerra e sulla presunta affiliazione politica (?) con Matteo Renzi. Posto che, in quanto artista, ho la libertà di guadagnare ciò che mi pare purché paghi le tasse, è ovvio che le sue affermazioni non corrispondano al vero ma siano terribilmente false e soprattutto tendenziose. Sarà direttamente la segreteria della Presidenza del Consiglio a rispondere sulla cifra e sul come è stata destinata.

Da parte mia posso dire che si trattava di un concerto originale di 90 minuti al quale ho lavorato sei mesi e che ha coinvolto, in una operazione complessa e unica nel suo genere, decine di persone e decine di Paesi in tutto il mondo con altrettanti musicisti. Ma il problema non è questo. E’ la cattiveria di un giornalista che si scaglia contro un artista noto (credo ci siano gli estremi per una querela…) che il 9 gennaio, da Parigi, ha dichiarato alla Nuova Sardegna di avere provato vergogna per la prima pagina di Libero che titolava con disarmante follia e irresponsabilità Strage in un giornale a Parigi: Questo è l’Islam. Quel giorno, dalla Francia – continua Fresu nel suo post – mi sono vergognato di essere italiano mentre migliaia e migliaia di persone sfilavano sotto le mie finestre a due passi da Place de la République per gridare a favore della libertà di espressione e contro la violenza e il terrore. Anche noi siamo scesi in piazza domenica con i nostri cartelli insieme ai Capi di Stato e a due milioni di uomini, donne e bambini. Cartelli in italiano e in sardo come quelli di tutti i Paesi del mondo, di tutte le etnie e di tutte le fedi religiose compresa quella dei musulmani.

La mia risposta, come recita il cartello che ha concepito mio figlio di sette anni, è Io sono Charlie e sarò sempre Charlie. In quanto cittadino responsabile e in quanto artista, ho il diritto e il dovere di esprimere la mia opinione ma nessuno invece ha il diritto di attaccare il prossimo con armi vere o subdole. Questa è violenza quasi assoggettabile a quella dei fatti parigini, e un pessimo esempio di civiltà e di democrazia».

Redazione, 15 Gennaio 2015