L’ennesima utopia: l’impresa e il bene comune

Sono ben consapevole che il ragionamento sviluppato ultimamente su AlgheroEco a proposito di Impresa Edile che contribuisce a costruire il ‘Bene Comune’, corre il rischio concreto di essere inserito tra gli esempi di farneticazione e delirio caratteristici di una età senile molto avanzata; i miei anni, è vero, non sono più verdi, preferisco però un’altra etichetta tra tutte quelle che mi hanno affibbiato da quando rendo pubbliche le mie riflessioni, ovvero seminatore di utopie, anche se questa definizione, tradotta nel gergo più comune di chi mi giudica, sta per venditore di fole. Ed in effetti, nell’immaginario più comune l’Utopia sta per condizione irraggiungibile, per luogo del tutto fuori dal comune, proprio come veniva intesa da Tommaso Moro che la identificava in un’isola o come Platone che parla di Atlantide come di un luogo e di una esperienza difficilmente collegabili allo spazio ed al tempo che viveva.

Non è così, perché l’Utopia, se sappiamo cercarla, è molto vicina a noi, è dentro di noi. Infatti così come il passato, con i suoi morti ed i nostri morti, con le sue storie e con i suoi miti, vive in noi e, attraverso la nostra evocazione continua a vivere prendendo forma e sostanza in quella parte di anima chiamata memoria, così l’Utopia si identifica in uno stato dell’anima che guarda e spazia verso il futuro, alimentata dalla speranza che concepisce ed immagina la vita che verrà. E, come si era verificato con il processo evolutivo (la cui cifra non è solo mutazione+selezione naturale, ma, secondo gli studi e le acquisizioni più recenti mutazione+relazione ordinata o logica) che dalla Polvere cosmica fa scaturire l’Uomo conducendolo al centro dell’Universo, così l’Uomo primitivo, ordinato a quel progetto della Natura, attraverso i millenni, matura tutte le Utopie che la speranza gli suggerisce nell’attesa di un Uomo migliore.

L’Utopia, sostanzialmente, è la Speranza che tende al futuribile, avendo come fondamenta la Vita finché questa ci sarà. Ed allora, tornando al nostro piccolo presente, perché non nutrire la Speranza, ovverossia l’Utopia, che quella parte della Società chiamata ‘Impresa Edile’ rinunci a ‘vedere’ l’unico suo profitto nella occupazione e cementificazione del territorio, e invece cerchi il proprio interesse nello sforzo collettivo di decongestionare il territorio e di riqualificare il costruito, o investa il proprio capitale in altri campi più utili alla Società, ritenendo il ‘Bene Comune’ non una sua proprietà esclusiva, ma un aspetto della sua attività da concordare insieme agli altri soggetti che del ‘Bene Comune’ non sono proprietari ma fruitori pro-tempore, e trovare così un fine sociale alla propria attività? Ovviamente questo processo non va solo compreso, acquisito culturalmente, ma va sospinto da chi ha il compito di sintetizzare le varie spinte della Società in un processo ordinato al raggiungimento del ‘Bene Comune’, impersonato da quella che chiamiamo Politica, ossia da coloro che si candidano alla gestione migliore dell’attività politica ed amministrativa. Sono due momenti, due aspetti, due punti di vista dello stesso problema: lo capiremo meglio nel momento in cui l’Amministrazione Lubrano presenterà il suo progetto di PUC; allora riprenderemo il discorso sulla Impresa Edile ed il ‘Bene Comune’, cercando di capire se lo sforzo di chi ha chiesto su di sé il peso del Governo, ha un senso compiuto, oppure se la nostra Speranza ancora una volta ha poggiato le sue basi su fondamenta di sabbia.

E’ tempo invece di affrontare un tema che Alghero municipalità ha risolto in sintonia con tutte le nazioni del mondo che hanno a che fare con i Rom, ossia confinandoli (senza chiedersi se il proprio grado di civiltà sia compatibile con questa scelta) in campi dove il degrado e l’isolamento sono padroni assoluti, e che Alghero (civitas) ossia Comunità invece non ha mai risolto, e nel contempo è necessario chiedersi ancora una volta: ma Alghero è una vera Comunità, o è un insieme di piccoli orticelli dove ognuno coltiva la propria erba, senza avere contezza che il nostro territorio, così peculiare e ricco di testimonianze storiche ed ambientali, tutto ha da guadagnare se unito, tutto ha da perdere se ognuno si ripiega su se stesso e sulla propria vanga? I termini della questione utilizzati ultimamente in Alghero sul tema Rom, danno una risposta amara ma esauriente alla domanda, e qui mi fermo. Rimane la constatazione fondamentale: l’Alghero municipalità e l’Alghero Civitas hanno entrambe il dovere di risolvere una volta per tutte il problema Rom. Perché?

a) nel campo di concentramento dell’Arenosu vivono Uomini, Donne e Bambini, molti dei quali, nati in Alghero, frequentano o hanno frequentato le scuole, si ritengono Italiani-Algheresi, ed hanno lasciato ai loro avi la condizione nomade per abbracciare la stanzialità;
b) la questione, ipocrita, di chi non vuol risolvere il problema, recita: si tratta di Gente che non si  è mai integrata! Sarebbe più giusto e più onesto affermare che non abbiamo mai permesso che si integrasse, dal momento che le condizioni di vita dei campi nei quali li abbiamo confinati sono  spesso peggiori delle condizioni delle stalle e delle porcilaie sparse per le nostre campagne;
c) la riprova più lampante di questa ipocrisia sta nella volontà di voler chiudere un campo di concentramento per riaprirne un altro; vale a dire che non vogliamo che si integrino, altrimenti penseremmo di farli vivere accanto a noi: dare loro la possibilità di vivere sotto un tetto normale, di  avere l’acqua corrente come noi, di utilizzare dei bagni come i nostri, di allevare i propri figli in una casa vera e di avere l’asilo e la scuola vicini alla propria casa;
d) se questo Popolo, non più nomade, ha scelto di vivere nel nostro territorio e con noi, dobbiamo favorirne il più possibile la crescita civile, sia per la nostra sicurezza e sia per la nostra capacità di  crescere come Comunità: e ciò sarà possibile solo se gli altri, i ‘diversi’, saranno Uomini come noi.

In tempi come questi, pensare ad un tetto per queste famiglie, è indubbiamente  impegnativo; ma la consapevolezza che questa Gente non pretende la gratuità, potrebbe essere un contributo allo sforzo di chi deve pensare a non creare un altro campo di concentramento, che vorrebbe solo significare la perpetuazione di uno stato di isolamento e di rifiuto. Alla prossima.

28 Maggio 2013