La giornata della Terra in un mondo che non ci basta più

Nell’attesa che si aprano per tutti le porte dello spazio infinito, in direzione del quale potremo fuggire in un giorno lontanissimo quando vorremo lasciare la vecchia Terra, il Pianeta resta ancora la nostra unica fonte di sopravvivenza e sussistenza, nonché il solo vasto riparo del quale disponiamo tra le immensità del Sistema Solare. Celebrarne l’esistenza e rendergli omaggio, dunque, è un atto dovuto, soprattutto al fine di sensibilizzare una parte sempre maggiore della vasta popolazione terrestre ai temi ambientali che, compressi tra la crisi globale e l’arrivo sui mercati internazionali di nuovi giganti dell’economia, rischiano sempre più di finire travolti da un allarmante oblio.

La Terra va verso la bancarotta e questo ce lo ricorda ogni anno l’anticiparsi della data dell’Earth Overshoot Day, la giornata che segna il punto dell’anno in cui l’umanità ha già esaurito tutte le risorse in bilancio, andando oltre le possibilità rigenerative del Pianeta: nel 2011 cadeva in settembre, per il 2012 si è collocata ad agosto, facile immaginare che anche nel 2013 le bio-capacità terrestri finiranno molto prima di dicembre. Eppure è innegabile come, ormai, l’argomento interessi una fascia sempre più ampia di opinione pubblica: questo marca in misura ancora maggiore la differenza con le politiche dei singoli governi di ciascuno dei cinque continenti, costantemente in ritardo su una questione che richiederebbe la massima urgenza e il più grande dispiegamento di forze ed energie. Insomma, a 43 anni di distanza dalla sua istituzione, l’Earth Day ha saputo avvicinare un numero crescente di individui uniti da temi ambientali e, in particolare, dalla consapevolezza della necessità di conservare tutte le risorse naturali della Terra: ma nel frattempo ai tavoli dei grandi vertici internazionali si discute molto e si decide poco.

Tutto questo mentre il clima cambia, le temperature fanno registrare picchi record inconsuetamente ravvicinati e i bruschi stravolgimenti costano non soltanto a specie che si ritrovano minacciate da pericoli gravissimi, ma anche a molte delle coltivazioni da cui dipendono le nostre abitudini e stili di vita e, soprattutto, una parte significativa dell’economia: i casi più preoccupanti e macroscopici, oggetto di recenti studi, riguardano vino e caffè, ma gli esempi potrebbero essere assai più numerosi. Intanto, il Pianeta malato offre scenari in cui l’evidenza del danno e della corruzione dovuti all’inquinamento, e più in generale a tutti i fattori legati al concetto di impatto antropico, si manifesta con maggiore chiarezza: è il caso dell’Artico, un tempo incontaminato territorio di intrepidi esploratori, oggi condannato da un inesorabile scioglimento dei ghiacci che sembra voler arrivare fino al cuore del permafrost, oltre che discarica di veleni immessi nell’atmosfera soprattutto dai Paesi occidentali che influiscono sulla vita delle stesse creature del Polo Nord.

Certamente in questa sede non vanno dimenticate le tante piccole battaglie vinte negli ultimi decenni: da quando, sul finire degli anni ’60, una nuova coscienza si andava diffondendo soprattutto tra i più giovani, portando con sé la speranza e la fiducia in un futuro più verde e respirabile, la voce dell’ambientalismo ha imparato a farsi conoscere ed ascoltare. Grandi movimenti e mobilitazioni hanno portato alla messa al bando dei clorofluorocarburi a causa delle loro proprietà capaci di intaccare lo strato di ozono, un successo planetario (anche in termini di collaborazione internazionale) i cui frutti cominciano timidamente a vedersi. Tuttavia si tratta di gocce nel mare che necessitano di un orizzonte più ampio all’interno del quale inscriversi: e, fin tanto che le trivelle minacceranno l’Artico o, in generale, che progetti di sfruttamento delle fonti fossili non andranno incontro ad un declino massiccio che comporti maggiori investimento nel settore delle rinnovabili (e in tutti gli ambiti della ricerca relativi), lo stato di sofferenza del Pianeta difficilmente potrà conoscere un miglioramento di qualunque tipo.

Sono trascorsi ormai cinquant’anni dalla prima volta in cui, negli Stati Uniti, si parlò dell’ipotesi di istituire una giornata dedicata alla Terra: erano i tempi della guerra nel Vietnam, quando gli ideali di pace ed amore dei giovani si intrecciavano indissolubilmente con l’aggressività e il neo-imperialismo dei Paesi che coltivavano il sogno di una ricchezza mai conosciuta prima e che si pensava che sarebbe stata eterna, come in una sorta di paradiso terrestre. I decenni hanno smentito l’ottimismo dell’epoca, dando ragione a quanti guardavano al Pianeta come a qualcosa che già allora aveva bisogno di una protezione senza compromessi per continuare a preservare la propria bellezza e funzionalità. Senza dubbio, negli anni successivi, internet è stato uno strumento fondamentale per la diffusione delle idee e dello spirito dell’Earth Day: oggi la partecipazione all’evento ha superato il miliardo di individui, distribuiti in ogni parte del globo. Una Green Generation che non si riconosce più in quel consumismo che ha devastato il Pianeta, fino ai più remoti e vergini angoli di Terra, nascosti dalla foresta amazzonica o dalle acque dell’Oceano; e che guarda ad un futuro in cui il rispetto per l’ambiente diventi la carta vincente contro tutte le crisi che ci soffocano, siano quella dell’ambiente, come quella economica, fino a giungere alla crisi dei valori.

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22 Aprile 2013