Furto in sagrestia, le precisazioni dei padri Passionisti

L'avvocato Giovanni Antonio Spano ripercorre quanto avvenuto anche prima del furto

Aveva fatto scalpore, soprattutto sui social, la vicenda riguardante un 42enne disoccupato algherese, finito a processo per essersi introdotto nella sagrestia della chiesa di Santa Maria Goretti e aver preso vino, frutta e alcune scatolette di tonno (LEGGI QUI). Sul fatto, risalente a due anni fa, interviene l’avvocato Giovanni Antonio Spano, incaricato dai padri Passionisti di seguire il procedimento giudiziario.

 

“L’epilogo della vicenda riportata, in realtà affonda le sue radici in una serie di fatti ed eventi che si sono succeduti dal 2006, anno in cui la Parrocchia di Santa Maria Goretti ha dato inizio alle sue attività pastorali, avendo sempre avuto uno sguardo benevolo per i parrocchiani che si venivano a trovare in situazioni di criticità economica, mai negando ad alcuno di essi quanto necessario per la cura del proprio nucleo familiare” si legge nella lettera inviata dall’avvocato alla nostra redazione. “Fra questi meritava particolare attenzione il protagonista della vicenda, che da subito venne accolto e sostenuto dai padri e dalla comunità parrocchiale, tanto da ricevere l’incarico da parte dei sacerdoti di svolgere piccoli lavoretti nelle strutture della vecchia Villa San Michele, luogo in cui si tengono le varie attività pastorali con i bambini e i ragazzi che frequentano il catechismo, al fine di permettergli un mezzo di sostentamento per sé e per la sua famiglia, verso la quale si nutre un’attenzione molto speciale, tanto che fu proprio la comunità a sostenere le spese per il suo matrimonio, celebrato e festeggiato proprio nei locali parrocchiali”.

“In virtù tale rapporto, questi frequentava i locali e gli spazi della comunità, conoscendoli in modo dettagliato; questo nel corso degli anni, gli ha permesso di introdursi arbitrariamente svariate volte in quel luogo sacro, commettendo reati di varia natura, ma trovando sempre una bonaria composizione nel perdono filiale riconosciuto dai padri della comunità che, con l’ammonimento del non commettere più quei fatti, hanno più volte deciso di confidare in un ravvedimento dell’individuo, rinunciando a presentare qualsiasi tipo di denuncia alle autorità competenti. Peraltro è da dire che nel corso di questi fatti, ormai all’ordine del giorno, alcuni parrocchiani si sono sentiti in dovere di garantire personalmente la sicurezza dei fedeli frequentanti l’attività pastorale e dei beni patrimoniali presenti all’interno della Chiesa e del convento. Col passare del tempo, però, la situazione si è resa sempre più grave: i padri erano assoggettati alle continue “visite” notturne e diurne del 42enne algherese, trovandolo persino nelle camere da letto del convento dove i sacerdoti risiedono tutt’ora”.

“Tuttavia, nonostante i suddetti perpetuati avvisi, nei padri ha iniziato a insidiarsi una forma di ansia e turbamento psicologico, dovuto anche al grave stato di salute nel quale si trovavano due fra i padri della comunità, uno novantenne e uno ultracentenario, i quali avevano necessità di vivere lontano da turbamenti e dalle preoccupazioni che la vicenda generava quotidianamente, e la cui responsabilità della sicurezza, tra le altre, incombeva interamente su padre Antonio Coppola, il quale, in occasione del fatto riportato, peraltro avvenuto nel giorno in cui si celebrava il sacramento della Prima Comunione, con la presenza di bambini e famiglie che assistevano impaurite, avendo notato la presenza di un soggetto all’interno della sagrestia mentre rovistava tra gli armadi, chiedeva l’intervento delle forze dell’ordine che intervenute lo coglievano sul fatto all’interno del convento. Alla luce di tali precisazioni, che si reputano necessarie per non infondere strumentalità al fatto riportato, la Comunità Passionista, si augura, comunque, che la situazione si concluda con un epilogo favorevole per tutte le parti coinvolte”.

11 Ottobre 2016