Pesca di aragoste: stagione da dimenticare

“Proroga a Dicembre, lo chiediamo da anni”. Come ogni anno accade, in questo periodo si tirano le somme. Una stagione disastrosa. Due uscite a mare a Marzo, quattro ad Aprile, due a Maggio. Questo è il risultato degli ultimi tre mesi di pesca di aragosta, messo a dura prova dal tempo instabile e dall’impossibilità di uscire in mare. Una denuncia ormai esanime quella dei pescatori che ogni mattina dalle quattro, prima ancora che sorga il sole, sono li sull banchina ormai a chiedersi come tirare la giornata. La normativa parla chiaro. E fin ora, da Prato, ex assessore all’agricoltura, a Cherchi attuale assessore, la risposta è stata sempre la stessa.

Non si possono buttare le reti. Negli anni 2000 il fermo biologico imposto dalla regione, garantiva comunque il sostentamento delle famiglie che godevano degli incentivi per il periodo di fermo.Oggi come oggi anche il clima è cambiato e a quanto asseriscono alcuni pescatori, il fermo biologico la natura se lo prende da sola, come in questa stagione , quando il ripopolamente è automatico vista l’impossibilità di pescare. “O chiudono la stagione per due o tre anni e danno modo al crostaeo di ripopolare la nostre acque supportando questa scelta con un finanziamento a copertura del fermo, o devono assolutamente mettere in conto che il nostro lavoro è mortificato e che non siamo in condizioni di sostentare le nostre famiglie”. L’appello è unanime, questa volta prende toni aspri, quei toni di chi esce tutto il giorno e non vede i propri figli per poi tornare a casa e dover passare le poche ore rimaste a catalogare in una scheda nella quale il dentice si chiama “dec”, il cappone “gun”, la seppia “ctc”, il polpo “occ” e così via, meccanismo che serve per la tracciabilità del pescato e quindi per la qualità, ma che in quelle condizioni di lavoro, diventa snervante. “Che chi di dovere, si prenda l’impegno serio e reale di capire le condizioni in cui lavoriamo e comprenda le reali esigenze del territorio, rispettando le regole del mare, ma in primis, cercando di salvaguardare la categoria che si può dire ormai a rischio”.

“Oggi ad Alghero si mangia il sushi, prima scaricavamo i bagagliai delle nostre macchine carichi di aragoste nei ristoranti della città. “Oggi non possiamo farlo, anche perchè per questioni economiche fai fatica anche a vendere quattro aragoste; prima ad Alghero venivano da Milano a mangiarle a chili, oggi se riesci a venderne qualcuna è su ordinazione quando capita. Se ci si mette di mezzo la natura con il mal tempo e la Regione con la sua burocrazia ammazza teste, qui chiudiamo tutto. Ancora una volta, si parla di salvaguardare le specificità del territorio,le sue risorse, le sue peculiarità ma chi governa, non fornisce il supporto necessario alla nostra attività”. Questo lo sfogo chiaramente comprensibile e giustificato di chi della pesca ne fa ragione di vita.

24 Maggio 2013