#KOI – Cantando danzavamo: il lato oscuro della Sardegna che incanta i Sardi

La performance ideata dall'attrice e regista algherese Chiara Murru, dello Spazio-T, sta facendo il giro dell'Isola stregando il pubblico. Siamo andati a vederla a Monte d'Accoddi, durante il Festival Abbabula 2015.


Lascio la mia auto appena lavata e subito sporcata dal fango che un branco di nuvole africane ha deciso di portare proprio in Sardegna, proprio ad Alghero, proprio dove vivo io, con tutti i posti che ci sono nel mondo e con tutta la siccità e la gente che fa 30 chilometri al giorno per riempire due secchi d’acqua e che quella pioggia la bacerebbe, e che invece nell’arco di un pomeriggio ha attraversato il Mediterraneo non a bordo di un barcone – come fanno gli umani disperati – ma volando nel cielo, col solo scopo di disonorare il mio umile mezzo: una di quelle cose che ti fanno sentire piccolo e insignificante, non dico come fanno i terremoti o i vulcani o il mare. Però ecco l’idea è quella.

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La lascio nel parcheggio del sito archeologico di Monte d’Accoddi, che è la prima cosa che vedo appena smetto di bestemmiarle – le nuvole africane -, e alzando lo sguardo mi chiedo cosa diavolo stia succedendo visto che in cima a quella struttura unica nel Mediterraneo – che pure è grande, il Mediterraneo – sette figure nere e immobili spezzano la curva che il colle disegna all’orizzonte con la complicità del cielo rosa e del sole stanco e anche delle nuvole africane che nel frattempo, però, comincio in qualche modo ad apprezzare.

Nel periodo di massimo splendore, le civiltà sono state ispirate dalla mitologia.

Accelero il passo lungo il sentiero di pietre che porta fino alla ziqqurat mesopotamica – ci assomiglia molto – che non si sa perché è stata innalzata circa cinquemila anni fa in quest’angolo – o centro – del mondo insieme a un menhir, un altare e una rampa di 40 metri che altro che barriere architettoniche. Mi avvicino e nel frattempo quelle figure cominciano a danzare nervosamente e a scuotersi nello spazio. La musica che fa da sottofondo sembra provenire dal passato e dal futuro nello stesso istante e non riesci quindi a collocarla nel tempo. Un po’ ti disorienta. Arrivato al punto esatto, quelle sette figure scure sinistre nere e nervose sono sparite. La musica continua a confondere e mi guardo con gli altri presenti e tutti si guardano l’un l’altro e si chiedono perché. Boh.

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In Passavamo sulla terra leggeri Sergio Atzeni scrive di una danza rituale, di un rito chiamato Koi. Parla di uomini con maschere e gambe di legno che danzano di notte sulle scogliere. Farfalle notturne. Falene. Koi significa falene, in estone. Koi – Lon – nell’antico teatro greco era lo spazio a gradinate riservato al pubblico. Koi è un segno: un uomo con la maschera che danza.

Dopo qualche minuto un volto, anzi una maschera, fa l’alba da una roccia. Severa si guarda intorno, ma sembra turbata anche lei. Lentamente anche le altre figure si presentano a pochi passi da noi e la cosa non è per niente rassicurante. Sono maschere che arrivano da Mamoiada e portano il Cuore di tenebra di una Sardegna cupa, contraddittoria, instabile e indefinita. Cerchi di capire cosa siano, cosa vogliono e cos’abbiano da dirti. E non è facile.

Al punto fermo di un mondo che ruota. Né corporeo né incorporeo;
Né muove da né verso; al punto fermo, là è la danza,
Ma né arresto né movimento. E non la chiamate fissità,
Quella dove sono riuniti il passato e il futuro. Né moto da né verso…

Anche il sole non è tranquillo e indietreggia mesto verso l’orizzonte. Le figure continuano a muoversi in uno spaziotempo indefinito, danzano leggere ma sembra che si debbano scrollare di dosso un peso enorme. Poi a un certo punto si accorgono di noi. Quei demoni infrangono in mille pezzi la rassicurante quarta parete esternamente disegnata da una schiera di transenne grigie, intimamente e inconsciamente creata dalla nostra mente e dalla nostra anima e dall’unione di queste due per proteggerci dall’ignoto. Fatto sta che quelle anime nere cominciano a puntare dritte verso il pubblico.

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Sono tra noi. Le persone reagiscono nei modi più diversi: c’è chi danza con loro, chi si nasconde, chi fa finta di niente, chi ride, chi accende una sigaretta, chi la spegne, chi beve un bicchiere di vino tutto d’un fiato, chi resta immobile, chi si fa travolgere, chi ostenta sicurezza e dentro muore, chi si imbarazza, chi minaccia violenza, chi affronta con coraggio. C’è anche una bambina che piange disperata come se fosse uscita per la seconda volta dalla pancia della madre.

…Né ascesa né declino tranne che per il punto, il punto fermo,
non ci sarebbe danza, e c’è solo la danza.
Posso soltanto dire: là siamo stati, ma non so dire dove.
E non so dire per quanto tempo, perché questo è collocarlo nel tempo.

A un certo punto una di loro si pianta di fronte a me, per tre secondi. Io rimango immobile, faccio un tiro di sigaretta, cerco di fare la faccia da figo e in quei tre secondi penso: ma chi sei tu, ma cosa vuoi da me, ma chi ti conosce, ma soprattutto cosa diavolo sei? Il passato, il presente il futuro? O tutti e tre insieme? Da dove arrivi? Anima nuragica, fenicia, cartaginese, romana, barbara, greca, genovese, pisana, catalana, spagnola, italiana, europea. Quanti piedi ti hanno calpestata e quanti ti calpesteranno, quante navi sono arrivate per combattere e quante per chiedere aiuto, quante lingue si sono parlate, in quanti dei si è creduto e verso quanti si è imprecato – sicuramente di più – e di quanti colori si è tinta la tua pelle e di quanti i tuoi capelli, quanti amori sono fioriti, quanti alberi sono bruciati, quante onde ti hanno confusa e quanti venti hanno mosso la tua sabbia, quanto sudore, quanto sangue, quante lacrime, quanti giorni, secoli, millenni sono passati per fare tutto questo e noi di tutto questo infinito sappiamo così poco e così tanto bisogno abbiamo di saperlo che a volte finiamo per inventarcelo. Danze, risate, pianti, suoni, tramonti e preghiere che non abbiamo mai detto, mai sentito, mai visto, mai vissuto e che forse non sono neanche mai successi: eppure ci sembra di portarli dentro da sempre. Sempre. Questo ho pensato, in quei in tre secondi.

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Poi quella figura se ne va, come un gatto che vede qualcosa muoversi tra i fili d’erba mossi dal vento. Se ne vanno tutte. Risalgono sul monte. La musica di Arrogalla continua a mescolare gli echi persi nel tempo agli ultimi suoni provenienti dall’altra parte dell’oceano. Le falene si fermano in cima. Ci salutano, ma non ci lasciano. Fanno parte di noi.

Ancora qualche istante e le nuvole africane lasceranno il palco alle stelle. Rimane il tempo per un’ultima, profonda riflessione: chissà se mi è venuta bene la faccia da figo.

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Foto di Gianfranco Jeff Pisoni.


#KOI – Cantando danzavamo è una performance ideata e diretta dalla regista algherese Chiara Murru e prodotta da Le Ragazze Terribili, vincitrice del bando “Giovani idee 2015” di Sardegna Teatro distribuito da Cedac.
Performer: Celine Brynart, Luisella Conti, Antonio Iavarone, Giulia Izza, Elena Muresu, Chiara Murru, Samuel Puggioni.
Musiche: Frantziscu Medda Arrogalla.
Costumi: Luisella Conti
Maschere: Franco Sale.
Poesia: T. S. Eliot, Burnt NortonFour Quartets, 1935.

Ignazio Caruso, 17 Agosto 2015