Il Natale e il Presepio. Ancora polemiche

L'opinione di Guido Sari

Come se i tragici eventi recenti (flussi migratori incontrollati e incontrollabili, attacchi terroristici, stragi e senso di insicurezza) avessero agito da anomalo catalizzatore, quest’anno in occasione del Natale, più che in anni precedenti (almeno questa è l’impressione), aumentano le polemiche relative alla presenza di simboli religiosi cristiani nei luoghi pubblici e in particolare nelle scuole dove diventa sempre più frequente il divieto di ricordare il Natale con l’allestimento del presepio. Le motivazioni addotte sono essenzialmente tre: 1) la presenza del crocefisso o il presepio turbano la sensibilità di chi professa un’altra religione (intendi di chi è mussulmano); 2) l’obbligo dello stato di porre tutte le confessioni religiose dei suoi cittadini sullo stesso piano; 3) il concetto di laicità dello stato. A leggere gli articoli che troviamo sull’argomento, si nota come i fautori del rifiuto, del bando dei simboli religiosi cristiani si sforzino di elucubrare giustificazioni che benché rimestate in modo diverso possiamo sintetizzare in quelle sopra indicate. Nel nostro Paese, ma forse non solo nel nostro, al pensiero dialettico si è sostituita l’adesione acritica alle dichiarazioni provenienti dai due principali orientamenti politici (risulta difficile parlare di ideologia visto il carattere ondivago degli assunti e il modificarsi di alcuni marcatori forti). Pertanto chi non la pensa secondo i parametri di un determinato orientamento è classificato come appartenente all’orientamento contrario. Sia uno che l’altro possono contare su una buona dose di stigma o di consenso sociale.

Però il nuovo verbo d’oltreoceano, il politicamente corretto a oltranza (funzionale a finalità e interessi diversi dai nostri), può rendere problematica al cittadino comune, bersagliato dai media e politicamente incerto, la scelta di quale sia l’area “ideologica” a cui aderire. Non ho per fortuna simili incertezze e poiché preferisco stare dalla parte della Politica, di quella che dovrebbe non separarsi mai dall’etica (per capirci dalla politica come missione e non come mestiere) e poiché considero il modo con cui viene affermata l’appartenenza ad un determinato gruppo politico, o l’odio con cui viene attaccato l’avversario, troppo simile all’atteggiamento della peggior tifoseria, dico quello che penso senza preoccuparmi d’essere etichettato.

La prima motivazione mi sembra, più che discutibile, ridicola: si riconosce una tale sensibilità ai mussulmani da non volerli turbare con la presenza del crocefisso e l’allestimento del presepio, ma allora perché mai si dovrebbe usare tanto rozzezza nei confronti dei cristiani, perché non usare lo stesso garbo anche con loro. Il dubbio è, o meglio era, che quando si parla di integrazione si intenda che l’ospitante deve integrarsi all’ospitato. La seconda motivazione ha un senso se significa che tutte le confessioni meritano rispetto, ma perde significato se la si traduce in rinuncia dei valori connessi alla presenza storica di un dato credo religioso, al fatto che quel credo ha dato una fisionomia particolare a tutta la cultura di un Paese, cultura che lo schieramento politico al governo dovrebbe tutelare e non contribuire a cancellare. E si può contribuire a cancellarla anche semplicemente adottando e divulgando quel logoro campionario terminologico con pretese suasorie che ci viene quotidianamente riproposto come un mantra dai media e in cui dominano universalismi etici, integrazioni, inclusioni, moltiplicazioni culturali, rigorosità laica, tutti contrapposti al senso di identità culturale di un popolo, concetto quest’ultimo che viene invece troppo spesso colpevolizzato e stigmatizzato.

Ma è la terza motivazione quella che lascia più perplessi. Si rifiuta il crocefisso in nome dei valori laici dello stato. Ma quali sono i valori laici? Se, e spero che lo siano, sono la democrazia, la libertà, l’uguaglianza, tutti questi valori sono compendiati in Gesù Cristo, sia che venga rappresentato vivo che in croce. Chi apprezza questi valori dovrebbe apprezzare anche chi simbolicamente li può riassumere. La condanna della schiavitù, la perfetta uguaglianza degli uomini a prescindere dalla differenza di genere, il rispetto per i più piccoli e indifesi, l’esaltazione dell’amore, la condanna dell’ipocrisia e dei formalismi vuoti, la separazione dei poteri, la relativizzazione dei valori mondani in modo da permettere all’uomo una crescita anche in senso verticale ci vengono da chi duemila anni fa è stato crocefisso. Possiamo non credere in lui, ma se non riusciamo a vedere, a leggere anche laicamente il suo insegnamento allora, nonostante tutte le nostre elucubrazioni, stiamo solo simulando di credere in quei valori laici, che, a parole, diciamo di voler difendere e in cui affermiamo di volerci identificare.

1 Dicembre 2015