I Marò e l’arroganza indiana

Ritornando su argomenti  già trattati, voglio specificare le ragioni per cui solo l’Italia, secondo il Diritto I internazionale, ha la facoltà di sottoporre a giudizio i due militari della Brigata San Marco accusati dell’uccisione di due pescatori  al largo delle coste indiane. Il fatto è che l’evento, le cui responsabilità sono tutte da dimostrare, si è verificato certamente a 20,5 miglia dalla costa indiana, come documentano i  rilevamenti g.p.s. della posizione della nave. Orbene, poiché le acque territoriali si estendono fino a 12 miglia dalla linea di base costiera, l’evento si sarebbe verificato al di fuori di esse. Solo nel loro ambito, però, lo stato costiero può esercitare la sua piena sovranità e, quindi, il diritto di fermare, controllare, ispezionare e catturare le navi mercantili straniere e le persone che vi si trovano a bordo. L’unica eccezione che limita la sovranità dello stato costiero in quelle acque è quella concernente il cosi detto “transito inoffensivo”, in virtù del quale le navi straniere, anche militari, possono liberamente attraversare le acque territoriali con una rotta rettilinea, a condizione che non svolgano determinate attività, ben individuate dal diritto internazionale e riteniute  minacciose verso lo stato costiero.

Nella “zona contigua”, che si estende per altre 12 miglia oltre le acque territoriali, l’India avrebbe avuto il diritto di effettuare operazioni di polizia solo per reprimere i reati finanziari e di contrabbando , quelli contro l’immigrazione clandestina e quelli contro le sue norme sanitarie. Se, invece, come si disse in un primo tempo, considerato che molti stati, compresa l’Italia, hanno  rinunciato alla “zona contigua”, sembrava che  l’area in cui si svolse il fatto sembrava  fosse compresa nella “zona economica esclusiva”, nel cui ambito l’India avrebbe avuto la facoltà di intervenire solo per reprimere e sanzionare le navi mercantili straniere che avessero abusivamente sfruttato le risorse di quella zona. E’ vero che ci sono altri casi, ben precisi e limitati, in cui uno stato costiero, India compresa, può agire coercitivamente su navi mercantili straniere in navigazione in alto mare, fermo restando che in ogni diversa circostanza la giurisdizione spetta esclusivamente allo stato di cui la nave batte bandiera. 

Questa facoltà, infatti, può essere esercitata come diritto di inseguimento contro navi che, operando all’interno delle acque territoriali o nei porti,  abbiano violato le norme dello stato. Il diritto di inseguimento, che deve essere non interrotto, cessa solo quando la nave inseguita entra nelle acque territoriali di un altro stato.  Lo stato costiero può anche agire,  in alto mare, contro le navi che minacciano le sue coste di grave inquinamento, contro quelle che esercitano la tratta degli schiavi o la pirateria e contro quelle che vengono usate per operazioni di terrorismo in danno dei suoi interessi e dei suoi cittadini.  La convenzione di Roma dell’88 precisa, comunque, che una azione sia definibile come “terrorismo”  se è svolta  per forzare con la violenza  la volontà di un popolo e di un governo. Occorre anche che non sia effettuata da militari ma da civili, ossia da guerriglieri.

Nel caso imputato ai marò non si è verificata nessuna di queste condizioni. In particolare i due non possono essere considerati guerriglieri e terroristi perché, al momento dell’evento, non solo erano incardinati nell’ordinamento giuridico militare dello stato italiano, e da lui regolarmente stipendiati, ma svolgevano una missione ordinata dallo stato! Seppure il fattaccio si fosse verificato secondo le modalità indicate dall’India, si sarebbe trattato, semmai, di una autentica “azione di guerra” e ai due si sarebbe dovuto riconoscere lo stato di “prigionieri di guerra”, e non quello di criminali comuni. C’è certamente da discutere sulla opportunità di imbarcare dei militari come scorta a navi mercantili. Se si considera la difesa del commercio internazionale come un interesse prioritario per lo stato, mi pare che tale iniziativa sia legittima anche in considerazione che gli armatori corrispondano una certa somma allo stato, non ai singoli militari, aspetto giuridicamente di estremo rilievo. A mio avviso la legge 130/11, con la quale si è stabilito l’imbarco della suddetta scorta, però, è totalmente lacunosa perché non dice niente sulle competenze dello stato in merito alle decisioni da adottare in caso di provvedimenti relativi alla sicurezza contro attacchi pirateschi. Ogni decisione, così, alla luce del codice della navigazione, viene assurdamente attribuita al solo comandante dell’unità e, in definitiva all’armatore.

L’India, infine, ha violato due volte la convenzione di Vienna. Infatti, arrestandoli, non ha  riconosciuto ai nostri militari la “immunità funzionale” che gli spettava e che li assoggettava solo alla giurisdizione italiana.  Ha violato quella convenzione anche tenendo in ostaggio il nostro ambasciatore. In proposito a quest’ultimo fatto, faccio presente che l’India, al limite e come è sempre successo anche in caso di aggressioni armate o di spionaggio, avrebbe solo potuto scacciare il nostro rappresentante diplomatico come “persona indesiderata”. Il comportamento del governo indiano, in definitiva , è stato arrogante e contrario ai trattati che quello stato aveva liberamente sottoscritto e, quindi, alla stessa civiltà giuridica.

Come giudicare il comportamento del governo italiano? Vogliamo stendere un pietoso velo di silenzio o protestare contro  la “debacle” politica e diplomatica a cui ci ha portato? E che aiuto ci possiamo aspettare da questa Unione Europea, in cui ogni stato continua a muoversi secondo i propri interessi e a fottere gli altri associati? Che ruolo può svolgere nel mondo questa Unione Europea se gli stati membri attuano politiche estere contrastanti? Vedi, come ultimo caso, le divisioni relative alla vicenda siriana. Non vi sembra che questa Europa stia pericolosamente tradendo le aspirazioni dei suoi Padri Fondatori e nelle quali, malgrado tutto, io continuo a credere?

15 Giugno 2013