Cantina Grappolo d’Oro: ecco Muttos, il vino che «non insegue il business»
Fabrizio Sassu è il titolare, insieme a sua moglie Anna della Cantina "Il Grappolo D'oro", che ha sede ad Alghero. Forti della loro esperienza vitivinicola, presentano Muttos: 3mila bottiglie di un potente Cagnulari «semplice e naturale».

Fabrizio Sassu è il titolare, insieme a sua moglie Anna – abilissima cantiniera e curatrice del marketing – della Cantina “Il Grappolo D’oro”, che ha sede ad Alghero ed è forte di una grande esperienza, in campo vinicolo e vitivinicolo. Sul sito Le Strade del Vino, Fabrizio ha da poco presentato il suo primo imbottigliamento: 3000 bottiglie di un potente Cagnulari, “Muttos”, dai vigneti di sua proprietà a Usini. Ecco alcune parti dell’intevista:
Fabrizio, raccontaci la tua storia e come si è intrecciata nel corso della tua vita con il mondo del vino?
Sicuramente non è stato per scelta. Sono nato in una famiglia molto umile, di contadini. Il mondo del vino é uno stile di vita che ci appartiene da sempre. Mio nonno era considerato uno tra i più grandi vignaioli che la Nurra abbia mai avuto. Era una persona di grandi vedute e di una capacità infinita. Il Piemonte fu la sua seconda casa; lasciò la Sardegna nel 1970 per stabilirsi ad Acqui Terme, per conoscere ed apprendere nuove tecniche dai Vignaioli del Monferrato, una sorta di università vitivinicola in grado di aumentare il suo bagaglio di conoscenze. Mio padre, invece, ha dedicato tutta la sua vita alla terra. Purtroppo, con il solo lavoro di campagna non poteva portare avanti la famiglia e, suo malgrado, ha dovuto in parte abbandonarla ed impegnarsi in un altro lavoro che gli garantisse un reddito sicuro. É la persona alla quale devo tutto: mi ha insegnato quali grandi difficoltà si incontrano nel coltivare la terra, di non ambire mai ai numeri perché le annate non sono mai tutte buone e che con la natura non bisogna mai fare i conti a tavolino, che tanto quelli non tornano mai! Oggi, a 43 anni, posso dire che l’unico grande rimpianto é di non averlo più al mio fianco, non avere i suoi consigli. Ma mi identifico in lui in quello che faccio, delle volte sbagliando, altre volte raccogliendo soddisfazioni enormi che gratificano il mio lavoro.
Quando hai preso la decisione di produrre una tua etichetta?
Nel 2011. È stata una decisione molto difficile perché ho dovuto interrompere una bellissima collaborazione che durava da tantissimi anni con una delle aziende vitivinicole più importanti della Sardegna, cui oggi devo veramente tanto. Tutto sbocciò nell’ottobre del 2012 quando, supportato dalla mia famiglia e dalla profonda amicizia che mi lega alla famiglia Pisoni di Usini, decisi che era arrivato il momento di produrre il Muttos dallo storico vigneto del Cagnulari in Sos Laccheddos, ad Usini. Un unico obbiettivo: mettere in bottiglia un vino che avrebbe espresso al meglio quel territorio così selvaggio ed ancora incontaminato, senza avere nessun timore, anche se tecnicamente non sarebbe stato perfetto. Un vino che avrebbe sicuramente emozionato.
Perché Muttos?
“Muttos” per rendere omaggio a questo meraviglioso canto che ci ha accompagnato per anni durante le feste di famiglia. É un canto della più antica tradizione Sarda, caloroso e potente, proprio come il nostro vino.
Cosa ti lega al Cagnulari?
Il legame che mi unisce al Cagnulari è vecchio di tre generazioni. Sono cresciuto in quelle campagne con la speranza di poter dare un giorno il mio contributo alla valorizzazione di questo vitigno ed oggi, con il Muttos, spero di averlo trasmesso a gran parte degli appassionati.
Qual è la tua filosofia produttiva?
La mia filosofia (che poi è il segreto per far bene le cose) non è inseguire il business. Muttos non nasce come fonte primaria di reddito; la nostra è arte tramandata di generazione in generazione, non abbiamo protocolli di cantina già predefiniti. Con le pochissime bottiglie che vengono prodotte (tremila) facciamo tutto in maniera molto semplice e naturale, dalla cura in vigna alla vinificazione. Magari anche “incoscientemente”, però per noi il vino deve esprimere il territorio e la nostra più grande soddisfazione è quando riusciamo a trasmettere al consumatore finale le nostre tradizioni e la nostra cultura.
Quali sono le difficoltà che incontri ogni giorno nel fare il tuo lavoro?
Le difficoltà, come gli imprevisti, sono sempre dietro l’angolo. Ripeto cosa diceva mio padre: non bisogna mai fare i conti a tavolino quando lavori con la terra, anche se sino ad oggi le annate prodotte sono state esaltanti. Sappiamo che ci vuole poco per ridimensionare quello che di buono è stato fatto in questi anni, per cui lavoriamo con sforzi sempre maggiori ogni giorno, consapevoli di tutto questo.
Cosa pensi del mondo del vino in Sardegna?
Penso che la Sardegna debba essere orgogliosa di quello che sta accadendo nell’ultimo decennio. C’è un forte ed evidente ricambio generazionale che ha portato un’ondata di freschezza sia nella comunicazione che nel modo di gestire la propria azienda familiare. Sono nati tanti bravi micro-vignaioli, molti di questi in passato soci-conferitori per le grosse cantine, che oggi stanno producendo vini di nicchia ed esaltano i propri territori anche all’estero. Penso che stia soffiando un nuovo vento nell’isola che non appartiene più a quelle vecchie politiche catastrofiche dei numeri stile “cantine sociali degli anni 80/90”.
Progetti per il futuro?
Beh, intanto pensiamo al presente ed a quanto di buono stiamo facendo! Il futuro è ancora tutto da costruire. Sicuramente, in primis, ci sarà da realizzare la cantina che ci consentirà di non doverci più appoggiare a terzi. Abbiamo sposato un grandissimo progetto, in cui crediamo tanto, che sta realizzando il nostro responsabile commerciale Giovanni Mura, con il quale tre anni fa abbiamo iniziato l’avventura Muttos. Si tratta di un consorzio di groupage di piccoli vignaioli Sardi, selezionati per territorio e vitigno, dove come unico obbiettivo vi è quello di esportare all’estero tradizioni e culture vitivinicole di ogni singolo terroir di appartenenza. Trovo che sia una sterzata dal vecchio modo di pensare in “solitario” che ancora oggi ha profonde radici nell’isola. Penso che l’unione, se ben fatta, sia una forza da sfruttare al meglio. E questo Giovanni Mura lo sa molto bene.
Per leggere l’intervista completa CLICCA QUI.