Ma il turista ha sempre ragione?

Vengono in tanti, torneranno in pochi. Pioggia di critiche sulla Riviera del Corallo, che entra in crisi nel troppo ­pieno Agostano

Durante il ponte festivo del Ferragosto, ho voluto regalarmi un week end fuori casa. Sentivo il bisogno fisico di un po’ di tranquillità. La necessità, di allontanarmi dalla calca eccessiva di quei giorni; dall’odore acre di fritto misto, che inonda i vicoli del centro; dai bar che per farsi notare devono alzare la musica un po’ più degli altri. Ma, non solo. Amo camminare la mattina presto sul lungomare e la visione poco poetica della spazzatura che invade il nostro spazio, il forte odore di urina che risale dagli angoli meno in vista, mi hanno fornito qualche motivo in più. Non a caso, la mia scelta, si è indirizzata verso i luoghi meno frequentati dell’entroterra. La disponibilità delle strutture, poi, ha fatto il resto, guidandomi verso Tiana; in barbagia. Un oasi di pace. Un paesello di montagna, popolato da poche centinaia di anime, a pochi chilometri dall’esatto centro geografico della Sardegna.

La prima sera, con a fianco mia moglie, dopo aver preso alloggio nell’unico B&B disponibile, siamo andati a dormire prima del tempo. L’indomani, avevamo in programma una escursione sul Gennargentu e contavamo di partire presto, per arrivare in vetta prima che il sole fosse troppo alto. Ma soprattutto, dopo aver riposato bene e con tutte le energie a disposizione. La speranza, tuttavia, spesso non coincide con la realtà e così, dopo solo poche ore, mi sono svegliato di soprassalto. Ero sudato e spaventato; pensavo di essere morto. Assuefatto alla voce sguaiata della nostra Alghero, il silenzio assoluto di quella notte, mi aveva inquietato. Non ero più abituato. Ho aperto la finestra, guardato il cielo e respirato profondo per un paio di minuti. Poi, solo poi, ho potuto dormire nuovamente; fino al nuovo giorno. In una quiete surreale, che non conoscevo più e che mi ha accompagnato ancora, per tutto il periodo trascorso li. Fino, anche, in cima a Punta La Marmora. La vetta più alta della Sardegna, dove, da tempo, avevo il desiderio di andare.

La mattina, risalendo il sentiero che mi avrebbe portato a destinazione, l’inquietudine si era trasformata in preoccupazione. La pace di quei luoghi, infatti, mi faceva vivere con angoscia, il pensiero dell’ imminente ritorno ad Alghero. La città in cui vivo e che, nonostante tutto, amo. Lo immaginavo come una caduta improvvisa: dal Paradiso all’Inferno. Dalla quiete assoluta della Barbagia, alla bolgia Ferragostana della Riviera del Corallo. Non per nulla, di questi tempi, nelle redazioni dei giornali, fioccano le lettere di protesta, di disappunto, di critica; da parte di tutti: sia turisti, che residenti. Nessuno dei due è contento. E d’altronde, difficile immaginare qualcosa di diverso, visto che, da molti lustri, il problema è sempre lo stesso. Nulla di nuovo, viene realizzato, per una sua soluzione. Alghero, come molte altre località Sarde, è strapiena in Agosto, semivuota per il resto della stagione buona e deserta nei residui mesi invernali. E’ facile comprendere che una situazione simile, non può che condurre a conseguenze negative sulla qualità dei servizi offerti e sulla competitività generale del territorio. Altrettanto semplice, intuire, che tale perdurante situazione, non è nata per caso, ma è figlia di una mancata programmazione turistica.

Tutto ciò, porta a prendere atto che la maggiore industria del territorio, è lasciata in bando all’iniziativa dei singoli. Senza una regia d’insieme. Senza una visione strategica; un indirizzo preciso, verso cui puntare. Un vero peccato. Perché, Alghero, può offrire la vista di un promontorio roccioso come quello di Capo Caccia, valutato tra i più suggestivi al mondo; di un centro storico ricco di fascino e cultura, come pochi altri; delle acque limpide e preziose del suo golfo. Per non parlare, del suo splendido affaccio a ovest; capace di generare ripetuti tramonti sul mare, ogni sera diversi e ogni volta tali da levare il fiato a chiunque. E tuttavia, paradossalmente, preferisce offrire tali gioielli nell’hard discount del turismo, piuttosto che in una esclusiva boutique griffata. Attraendo, fra i tanti, anche orde di barbari brulicanti, cafoni e ignoranti, che oltre a farne un uso maldestro e improprio, non sono affatto, portatori sani di benessere. Altresì, sono quelli che pensano che Alghero è talmente bella, che gli Algheresi non se la meritano; che pretendono di arrivare negli angoli più preziosi e suggestivi, come fanno in autostrada con l’autogrill; che prima di mettersi in viaggio, ti chiedono se in Sardegna è arrivato internet; oppure, e questo è un classico: “cosa succede se il bimbo dovesse avere la febbre, ci sarà un dottore?”. Godono dei nostri beni, senza capire di cosa si tratta.

Sono loro, quelli che fanno scappare il turismo di pregio. Come la moneta cattiva che scaccia la buona. Anche se, in verità, la responsabilità è solo nostra. Siamo una piccola cittadina, infatti, ma pretendiamo di ospitare una massa oceanica di persone. Cerchiamo la quantità, invece che la qualità; laddove potremmo, a buon titolo e a differenza di altri, puntare ad un target differente. Ad esempio, a una frazione di quei centodieci milioni di turisti benestanti e colti, che girano il mondo in lungo e in largo, in ogni periodo dell’anno. Quelli che sono abituati a godere di un buon mare la mattina; siti archeologici, musei e arte, nel pomeriggio; concerti, sfilate e spettacoli di classe, per finire la giornata, la sera. Il tutto, vissuto in luoghi ricchi di fascino, che producono occasioni rare. Come cenare in una terrazza affacciata sul mare, mentre il sole si spegne all’orizzonte, infiammandolo di colori mai visti. Uno solo di questi turisti, in soldoni, ne vale dieci di quegli altri. Questo è buono, l’altro è cattivo. Non per snobismo, ma per semplice calcolo economico. Così come fanno i sistemi turistici più avanzati e come dovremmo imparare a fare anche noi. Prima che sia troppo tardi.

La buona notizia, tuttavia, è che c’è la soluzione. Occorre solo un piccolo cambio di mentalità. Dovremmo abbandonare quella stereotipata e non più adatta ai tempi de “Il turista ha sempre ragione”. Questo tipo di filosofia commerciale, infatti, oltre ad esprimere un asservimento fuori luogo, è proprio quella che porta a non soddisfare nessuno; giacché si cerca di accontentare tutti. E’ tempo, invece, di fare una scelta precisa di campo; o meglio, di turista. A cui far seguire, iniziative mirate per la sua delizia. Senza scimmiottare nessuno, ma puntando proprio sulla nostra identità, potremmo dare lustro e valore alla Riviera del Corallo. Il turismo buono, a quel punto, quello che arricchisce la comunità in denaro, cultura e dignità, scaccerebbe quello cattivo: quello che sporca, fa chiasso e non lascia traccia nelle casse della città.

Antonello Bombagi, 7 Settembre 2016