Il Profumo della Saggezza antica

Tutti si indignano, tutti protestano; in un "nonsenso" rumoroso, sguaiato e paradossale. Sembra che la modernità ci abbia fatto dimenticare qualcosa.

Lino è un lupo solitario. Una sorta di eremita dei tempi moderni. Vive da solo col suo cane in un pianoro della Val Duron. Tecnicamente, nel territorio del comune di Campitello di Fassa, ma a circa duemila metri di altitudine. Tanto per capirci meglio, un vallone che sbocca nella più ampia e conosciuta Val di Fassa; nella zona delle Dolomiti. Ha trasformato la sua casa in una grande baita, dove offre rifugio e un pasto caldo ai turisti invernali; un’oasi di riposo, invece, a quelli estivi in transito verso le vette Dolomitiche. Ci sono giornate, soprattutto nelle mezze stagioni, in cui
non vede nessuno per giorni e giorni; oltre al suo bellissimo Pastore Tedesco. Come quando l’ho incontrato per la prima volta. Era la fine di Settembre. Un periodo in cui, in alta montagna, fa già freddo. I turisti estivi sono tutti partiti, ma ancora non c’è neve per far arrivare quelli invernali. E lui, era come me lo sarei immaginato un attimo prima di conoscerlo. Uno alla Rheinold Messner, solo un po’ meno curato e più magro. Non troppo alto, asciutto nel fisico, con le bretelle e la camicia del taglialegna. Quella grossa a riquadri rossi e neri. La barba lunga e incolta. I capelli arruffati di un colore apparentemente indecifrabile che va dall’argento al grigio antracite, ma con qualche spruzzo dorato. Un bel sorriso spontaneo e gli occhi chiari e buoni. Che mi guardano sornione, quando lo saluto.

«Dimmi un po’, ma ci vivi da solo, qui?» gli chiedo incuriosito dopo un po’ «No – risponde serafico – col mio cane!» E con gli occhi fa un cenno, che mi invita a guardare sulla destra. Appena dietro di lui, con un occhio chiuso e uno vigile, il suo Pastore Tedesco gli stava vicino. La sua risposta era già molto più che una semplice dichiarazione. Era una filosofia di vita. Che, però sfuggiva ai miei occhi di uomo cresciuto nel benessere delle nostre città; abituato alle comodità, alla tecnologia e al consumo più che all’autoproduzione. Continuavo a guardarlo; affascinato e rapito dal suo lavorare. Lento e senza affanno. Senza tempo. Spaccava grossi ceppi di legno, per poi accatastarli ordinati in una capanna costruita appositamente di fianco alla sua baita.

«Ma che fai tutto il giorno? Non ti annoi?» Gli chiesi imprudentemente, da alieno rispetto al suo mondo così diverso dal nostro. Avrei potuto prendermi un bel vaffa e me lo sarei meritato tutto. Invece, mi sorrise divertito, a quella che per lui doveva essere una domanda enormemente sciocca. «Uff… altro che noia! Ci sono sempre un mucchio di cose da fare – si lamentò bonariamente – Ogni stagione che arriva, va preparata in anticipo. Se non vuoi trovarti male dopo…Vedi! – mi dice indicandomi le cime già imbiancate delle alture vicine – La neve sta già arrivando. Fra qualche settimana, qui, sarà tutto bianco. D’inverno, poi, possono arrivare anche tre, quattro metri di neve. Ma se ti organizzi prima, non c’è problema»

Da quel giorno, quell’ultima frase, si è depositata sul fondo della mia anima. Riemergendo di tanto in tanto, a darmi una guida sicura in alcune circostanze della vita ordinaria. Quanta semplice saggezza in così poche parole. La stessa, d’altra parte, riconosciuta in tante occasioni, nei contadini, negli allevatori e nei pescatori della nostra Sardegna. Ma anche nella gente comune e semplice dei paesi più piccoli. O almeno, quella di un tempo.

Già, perché sembra che la modernità ci abbia fatto dimenticare qualcosa. O ci abbia fatto erroneamente credere che la tecnologia possa proteggerci e salvare da tutto. Sollevandoci dall’incombenza di doverci preoccupare per tempo, per ciò che potrebbe accadere. Come fa l’ airbag nell’auto che va a sbattere; il salvavita nell’impianto elettrico in corto; il rilevatore di fumo e gas che attiva la sirena; il cicalino del forno che ci avvisa quando la torta è pronta, evitando che si bruci. Una quantità inimmaginabile di allarmi, avvisi, protezioni, circondano la nostra vita. Ci semplificano l’esistenza, permettendoci di essere attivi e produttivi, sempre.

D’inverno, come d’estate. Di notte, come di giorno. Con la presunzione di poter controllare tutto; di potercela cavare sempre, senza grandi grattacapi. E in questo nostro andare continuo, non tolleriamo più, ciò che arriva ad impedircelo; anche se solo per un’ora o un giorno. Ma tutto ciò, se da una parte ci raffigura come più sicuri, dall’altra ci rende inevitabilmente più vulnerabili. Perché nel tempo, abbassano il nostro livello medio di attenzione. Piano piano, ci abituano a non preoccuparci più di una determinata incombenza; tanto c’è quel “qualcosa” che ce lo ricorda o che vi pone rimedio. E se non qualcosa, qualcuno.

Ed è così che arriviamo a dimenticare che d’inverno può piovere e magari in modo abbondante. O che, a una certa altitudine, potrebbe addirittura nevicare; ricoprendo strade, stalle e ovili. O ancora, che d’estate il sole secca tutto quello che può, ed è facile che il fuoco vi trovi la strada aperta. E’ proprio così, in questo modo, che si arriva all’emergenza perenne; continua. Perché con pioggia, neve o fuoco, da noi, è sempre un’emergenza. E ad ogni emergenza corrisponde regolarmente un’ondata di indignazione popolare.

Si indigna il pastore; quello di oggi, col telefonino e il pick up; che ha lasciato il gregge all’addiaccio senza provviste di foraggio; mentre un metro di neve gli si posava lievemente sopra. Si indigna il commesso viaggiatore; che, senza catene a bordo, perché in Sardegna non servono; non ha potuto raggiungere il suo cliente, per impraticabilità della strada. Tutti si indignano, tutti protestano; in un “nonsenso” rumoroso, sguaiato e paradossale. Ci si indigna perché i soccorsi arrivano in ritardo, in caso di tragedia, ma non perché un albergo è stato costruito dove nemmeno ci si poteva piantare un albero.

Appena potrò, tornerò a salutare il mio amico Lino. Nel silenzio della sua valle, non ci sono urla sguaiate e fuori posto, ma il profumo della saggezza antica. Quella di un uomo, che in molti dipingono come un folle; un diverso; un’eremita. Che però, sa bene che è saggio e giusto preoccuparsi di siccità in inverno e di neve e alluvioni in estate.

Antonello Bombagi, 9 Febbraio 2017